AlphaGo è una macchina che riesce a battere l’uomo a Go, antico gioco da tavolo cinese che da 2.500 anni costituisce uno dei mezzi migliori attraverso i quali è possibile misurare l’intelligenza umana. A differenza degli scacchi, Go è un gioco apparentemente meno complicato. Le pedine, dette pietre, hanno tutte lo stesso valore e si distinguono solo per il colore bianco o nero dei due giocatori, la scacchiera (goban) è formata solo da 19 linee verticali e 19 linee orizzontali. A turno i giocatori piazzano una pietra sulle intersezioni delle linee cercando di circondare le pedine avversarie ed evitare di venire circondati. Scopo del gioco è occupare la porzione maggiore della scacchiera. Sembrerebbe davvero facile, ma il gioco offre oltre 4,63×10 alla 170sima posizioni diverse, offre una profondità strategica in grado di mettere in crisi anche i migliori giocatori e le menti geniali di tutto il mondo.
Il Go è il gioco perfetto per mettere alla prova non solo l’abilità umana ma anche per mettere alla prova le potenzialità di una macchina. Google ha pensato bene di usare questo gioco per dimostrare le potenzialità di AlphaGo, la sua intelligenza artificiale sviluppata da DeepMind, startup acquisita nel 2014. La macchina è riuscita a battere per ben 5 volte consecutive Fan Hui, il campione europeo di Go e ora si appresta ad affrontare Lee Sedol, uno dei giocatori più forti del mondo. Il match è previsto per marzo e l’attenzione mondiale sarà concentrata tutta su quella piccola scacchiera di legno intorno alla quale si ripeterà una delle sfide più appassionanti della storia: l’uomo contro la macchina. L’importanza della sfida va oltre il semplice diletto, battere l’uomo in un gioco di abilità costituisce infatti una delle più gradi sfide per il campo dell’Intelligenza artificiale. Per diversi anni gli sviluppatori hanno affermato che il Go era troppo difficile per una macchina, che il numero di mosse potenziali è maggiore di quello degli scacchi ed è quindi impensabile calcolare il vantaggio di una giocata sull’altra. La macchina deve imparare mentre gioca per vincere, cioè deve essere in grado non solo di contrastare le mosse dell’avversario ma deve simulare le funzioni del cervello umano che crea quegli schemi che ci consentono di capire se stiamo vincendo oppure no.
AlphaGo fa leva sul deep learning, l’apprendimento profondo, un sistema informatico capace di comprendere come funziona il cervello umano. Questo sistema permette di analizzare e interpretare ciò che viene rielaborato dalla mente dopo l’apporto dei dati forniti dalla sensibilità. Per far questo, il sistema usa delle reti neurali artificiali che simulano i comportamenti dei nostri neuroni. Per quanto riguarda il programma elaborato da Google, le reti sono due: una ha il compito di prevedere la mossa successiva dell’avversario, l’altra serve a prevedere il posizionamento delle pedine sulla scacchiera. Grazie ad un algoritmo le due reti sono in grado di pensare la prossima mossa come faremmo noi. Si può affermare che AlphaGo ha insegnato a se stesso come vincere, cioè ha imparato come vincere, ha focalizzando la sua potenza di calcolo solo sulle mosse necessarie a vincere e non su tutte le possibili combinazioni che il gioco offre.
Gli informatici, attraverso questa sfida, cercano di far dimenticare a tutti la disfatta di Deep Blue, il computer di IBM che aveva “battuto” il campione russo Garri Kasparov a scacchi negli anni ’90. Ancora oggi si discute di quella vittoria, molti elementi fanno pensare che in realtà Deep Blue fosse guidato dagli uomini e che quindi non sia mai esistita una macchina in grado di battere un umo a scacchi. Un sospetto questo che è diventato quasi una prova quando IBM ha rifiutato di mostrare i tabulati del computer a Kasparov nonostante fosse previsto dalle regole del match.
Questa sfida potrebbe rivelarsi molto importante per le ricerche future nel campo dell’intelligenza artificiale. Google non è la sola ad aver studiato un’intelligenza artificiale per il Go, anche Facebook sta cercando di portarsi avanti in questo campo di ricerca. Non si tratta di battere un uomo in un gioco di abilità, dietro a questa sfida c’è molto di più: studiare cosa l’AI potrà fare per le nostre vite. I risultati della sfida potrebbero implementare la ricerca nel campo della diagnostica e in ambito medico, nello studio dei cambiamenti climatici e nella finanza. L’unico aspetto negativo è che l’innovazione nel campo dell’intelligenza artificiale potrebbe portare ad un impiego con fini bellici di questi sistemi informatici. Non sembra poi così remota la possibilità di creare un tipo di intelligenza artificiale in grado di uccidere con un’accuratezza ed un’efficacia sconosciuta finora al genere umano. Hassabis, neuroscienziato che lavora per Google, ha chiarito subito che la società sta lavorando con ricercatori ed università per mitigare eventuali rischi legati all’AI oltre ad avere un comitato etico interno dedicato. Queste rassicurazioni però non sembrano convincere Chomsky, Stephen Hawking e gli altri esperti di intelligenza artificiale che hanno firmato una lettera aperta che invita a bandire l’utilizzo bellico dell’Intelligenza artificiale.