Saresti disposto a pagare per un servizio gratuito? Non è un indovinello, ma un business. Per chi? Per tutti quelli che, in mancanza di norme stringenti, si stanno specializzando nel mercato delle cosidette “app immorali”. Da ReservationHop, che prenota tavoli nei ristoranti più affollati e poi riassegna i posti al miglior offerente, a Monkey Parking, che monetizza sullo scambio tra privati del prezioso suolo pubblico destinato al parcheggio delle auto.
Il fenomeno si basa su due elementi fondamentali. Da una parte le app hanno smesso di voler rendere il mondo un posto migliore, ora si accontentano di assecondare semplicemente i nostri vizi. Dall’altra la tecnologia, diciamo pure una banalità, viaggia ad una velocità troppo elevata rispetto ai tempi della legge e della giustizia, destinata spesso a rincorrere e a rimediare più che a regolare.
Proprietà intellettuale, concorrenza, pubblicità e protezione dei dati. Ad oggi, secondo diversi osservatori del mercato gran parte delle applicazioni diffuse dagli stores non sono conformi ai requisiti legali minimi richiesti per la tutela degli utenti. Le preoccupazioni delle autorità derivano dalle caratteristiche peculiari delle app che possono avere accesso a molte più informazioni rispetto ai browser tradizionali (ad esempio rubrica telefonica e posizione geografica degli utenti), possono combinarle facilmente tra loro e renderle disponibili a diversi soggetti.