Probabilmente, la vista è il senso su cui facciamo maggiore affidamento. “Vedere per credere” è diventato una costante nella nostra vita, una presenza preziosa quanto scontata.
Quando ci imbattiamo in un non vedente, è facile immaginare le difficoltà che può incontrare nel passeggiare o districarsi tra il traffico e la folla. Eppure, al mondo ci sono 285 milioni di persone affette da patologie legate alla vista. La maggior parte di loro vive in totale autonomia, senza sentire la necessità di ricorrere alla vista per credere, fidarsi o affrontare le difficoltà giornaliere.
Il desiderio di vedere si manifesta solo di tanto in tanto, quando anche le azioni più semplici sono un ostacolo insormontabile. Si tratta di gesti semplici come abbinare un paio di calze o controllare la data di scadenza di un cibo.
Queste azioni sono parte integrante della giornata di ognuno di noi, talmente automatiche che non prestiamo attenzione al ruolo fondamentale svolto dalla vista. Un uomo, tuttavia, si è reso conto dei disagi che i non vedenti sono costretti ad affrontare nella semplice quotidianità.
Il suo nome è Hans Wiberg. Ha realizzato l’app Be My Eyes in grado di sfruttare la tecnologia dello smartphone per aiutare i non vedenti a vedere. Si basa sulla trasmissione video in tempo reale tra lo smartphone del non vedente e quello di un volontario estratto in modo random dal database dell’applicazione.
Stabilita la connessione, si avvia una conversazione audio-video durante la quale il volontario descrive a parole ciò che vede proiettato dalla fotocamera dell’altro smartphone.
Il successo dell’applicazione dipende principalmente dall’adesione dei volontari: al momento i non vedenti iscritti al servizio sono oltre 32 mila con un bacino di volontariato di oltre 450 mila persone.
Stando alle testimonianze dei fruitori, Be My Eyes è in grado di donare un altro tassello di indipendenza che altrimenti non si potrebbe conquistare in autonomia. Adesso i non vedenti hanno la possibilità di chiedere aiuto in tempo reale e in modo anonimo.