Tutti sappiamo che i nostri movimenti su internet sono osservati e venduti da giganti del tech, come Google o Facebook, ad altre aziende, per indagini di mercato o per intercettare la richiesta inconscia dei clienti. Nessuno però, fino a ieri, si era mai chiesto se anche ciò che tutti i giorni ascoltiamo o guardiamo attraverso i nostri device sia sottoposto a “spionaggio”.
Kyle Zak, uomo originario dell’Illinois, ha scoperto che Bose, società statunitense famosa per i suoi dispositivi audio, da diverso tempo violava la privacy del suo smartphone per vendere le sue abitudini ad altre società: il ragazzo americano, indignato, ha ovviamente fatto causa alla compagnia produttrice di cuffie.
Nella denuncia, a essere incolpate di spionaggio non sono tanto le cuffie wireless possedute da Zak, quanto l’applicazione Bose Connect, piattaforma che permette ai possessori di accessori Bose di collegarli al proprio smartphone. Secondo quanto riportato nel documento presentato alla corte, la società originaria del Massachusetts avrebbe registrato album, titoli, artisti e podcast ascoltati dall’utente per trasmettere poi i dati ad aziende esterne.
queste le parole rilasciate dai legali dell’uomo.
Per gli avvocati di Zak, la condotta di Bose violerebbe l’Electronic Communications Privacy Act del 1986 e una serie di leggi statali sulla privacy. Il valore della causa? Si superano i 5 milioni di dollari, cifra che la società citata in giudizio sarà costretta a pagare.
Non sappiamo ancora quale sarà il verdetto del giudice ma siamo sicuri che, in futuro, Bose ci penserà due volte prima di ficcanasare tra le playlist ascoltate dai suoi utenti.