A distanza di nove anni dagli attentati che nel 2005 seminarono il panico a Londra, la minaccia estremista islamica torna a incombere sulla Gran Bretagna. Questa volta, però, i segnali di pericolo arrivano direttamente dall’interno. Secondo un rapporto del MI5, l’agenzia per la sicurezza e il controspionaggio del Regno Unito, sono circa 500 i cittadini inglesi di fede musulmana che negli ultimi mesi sono tornati nel Paese d’origine per unirsi alle milizie jihadiste dell’Isis.
Il segnale di massima allerta deriva da una serie di eventi internazionali che Oltremanica hanno portato a una crescita notevole del livello di attenzione. Prima la decapitazione dell’ostaggio britannico David Haines, l’operatore umanitario rapito più di un anno fa in Siria e giustiziato il 13 settembre scorso, poi, il focus mediatico sulla figura di Jihadi John, il boia dell’Isis dal fortissimo accento inglese.
Nel mezzo la storia di Khadijah Dare, la ventiduenne londinese che dal suo profilo twitter invoca la Guerra Santa, glorifica le esecuzioni degli ostaggi e afferma di voler diventare la prima donna jihadista a uccidere un occidentale. Tutto rigorosamente accompagnato dalle parole del primo ministro inglese David Cameron, che nel corso del vertice Nato di Newport ha ribadito la volontà di creare una coalizione anti-Isis, volta a contrastare la crescita tanto preoccupante quanto sanguinosa dello Stato Islamico.
Per l’Inghilterra, dunque, il problema maggiore sembra arrivare dall’interno dei confini nazionali, dove la comunità islamica, pari a circa il 3% della popolazione, necessita di un maggiore controllo al fine di evitare la formazione di cellule terroristiche in grado di colpire il Paese.