Trasformare il piombo in oro è sempre stato un sogno irrealizzabile per quei personaggi, mezzi scienziati e mezzi stregoni, che, diversi secoli fa, venivano chiamati “alchimisti”. Ma, nel Ventunesimo Secolo, in cui il vero oro che ha scatenato conflitti e dibattiti internazionali è l’“oro nero”, sembra che la Marina militare statunitense sia riuscita nell’incredibile impresa di trasformare l’acqua del mare in carburante per le proprie navi.
La notizia è molto recente e fonti attendibili come l’Huffington Post ed USA Today la danno per certa. Dopo un lavoro di quasi 10 anni e nell’attesa che il progetto diventi realtà a livello industriale, un team di studiosi del Naval Research Laboratory, Materials Science and Technology Division dell’U.S. Navy, capitanato dal dottor Heather Willaur, ha rivelato il meccanismo che trasformerà in energia l’acqua salata: grazie ad un trasformatore a cationi elettrolitici, verranno estratti anidride carbonica ed idrogeno dall’acqua di mare, per poi trasformare, attraverso un catalizzatore metallico in un reattore, i suddetti gas in idrocarburi liquidi, che potranno far muovere sia le navi che i jet da esse trasportati.
Il nome che Willaur ha scelto per questa incredibile tecnologia è “Game changing” e, per ora, utilizzando questo processo, gli scienziati sono riusciti a far volare un modello di un aereo di piccole dimensioni. I segnali sono incoraggianti e lo sviluppo di questa tecnica consentirebbe alle navi militari statunitensi di evitare i pericolosi e lenti rifornimenti in mare aperto, che, attualmente, vengono effettuati grazie alle 15 enormi petroliere messe a disposizione dal Governo degli Stati Uniti. Questo, come ha sottolineato il vice ammiraglio della Marina americana, Philip Collum, cambierebbe radicalmente gli attuali scenari militari per quanto riguarda i combattimenti marittimi, rispetto a quanto accaduto negli ultimi 60 anni.
Non solo. Gli studiosi auspicano anche una produzione su larga scala che, nell’arco di una decina di anni, potrebbe riuscire a fornire carburante in quantità massicce al costo di circa 0,75/1,5 dollari al litro. Questa tecnica innovativa, dunque, se attuata a livello industriale, costituirebbe certamente un “punto di svolta che reinventerà completamente il modo in cui siamo abituati a fare affari”, come ha ribadito nuovamente Collum, che figura anche tra i supervisori delle Naval Operations for Fleet Readiness and Logistics.
Sì, perché, oltre a segnare una rivoluzione sul piano della riduzione dell’inquinamento e dell’emissione di sostanze nocive in relazione ai carburanti, questa scoperta potrebbe essere soprattutto un punto di non ritorno per il mercato mondiale del petrolio: se gli USA, e quindi il resto del mondo, riusciranno a svincolarsi, almeno parzialmente, dalla necessità di rifornirsi di carburante dai Paesi stranieri, soprattutto del Medio Oriente, lo scenario economico a livello globale potrebbe mutare decisamente.