Circa metà della Grande Muraglia Cinese. Una striscia di alberi lunga 4500 km, dalla provincia dello Xinjiang nell’estremo ovest alla provincia di Heilongjiang ad Est, per tentare di arginare l’espansione del Deserto dei Gobi, minaccia ben più pericolosa dei Mongoli di Gengis Khan, che ogni anno ruba 3600 kmq al suolo cinese.
Parliamo del Green Great Wall of China, la linea verde progettata per ripulire l’aria e fermare le tempeste di sabbia che affliggono Pechino e tutta la costa Nordorientale. Il programma iniziato in tempi non sospetti, nel lontano 1978, dovrebbe concludersi nel 2050, quando le foreste artificiali, già ora le più grandi al mondo, arriveranno a coprire 35 milioni di ettari (l’Amazzonia ne conta 370).
Il meccanismo di rimboschimento è abbastanza semplice. Al fine di rendere più stabili le dune di sabbia, i contadini piantano cespugli e alberi resistenti alla sabbia, seguendo uno schema a scacchiera. Enormi macchinari spostano quindi la ghiaia dietro alle dune per tener ferma la sabbia e aiutare la compattazione del suolo. Una battaglia combattuta in parte dal lavoro dei contadini, ai quali è stato vietato di pascolare il bestiame in campo aperto, ma che vengono ripagati per il loro servizio con aiuti finanziari statali. D’altra parte la seminazione aerea delle zone che ancora non conoscono fenomeni erosivi sta aiutando la crescita delle piante, mentre, dal 2003, grazie a un finanziamento di 1,2 MLD di €, sono cominciate le operazioni di mappatura e sorveglianza via satellite.
La storia recente del Green Great Wall of China è segnata da slanci di ottimismo, ma anche da critiche e insuccessi. Nel 2008 un inverno molto rigido ha compromesso il 10% della giovane foresta. In seguito la Word Bank ha invitato il Partito Centrale a puntare più sulla qualità degli alberi che sulla quantità. Ciononostante nel 2011 l’allora premier Wen Jabao approvò un ulteriore finanziamento da 7 MLD per potenziare e velocizzare le operazioni. Secondo Jiang Gaoming, membro dell’Accademia Cinese di Scienze, il governo sta cercando di piantare foreste, laddove non ce ne sono mai state. Nelle aride province settentrionali come quella del Gansu piove molto poco e gli alberi stanno andando a prendere l’acqua dalle falde acquifere.
Una politica ambientale massiccia e coraggiosa, ma forse necessaria, perché interventi su bassa scala non possono che avere scarsi risultati. Un esempio? Per combattere lo smog nella provincia orientale dello Zhejiang si è posto un tetto alla vendita di automobili: 80.000 veicoli al posto dei 200.000 venduti nel 2013. L’impatto sul mercato degli autoveicoli in Cina sarà dello 0,6% e inoltre chi vorrà acquistare un auto dovrà partecipare ad una lotteria! Secondo gli analisti di Credit Suisse, Bin Wang and Mark Mao, scelte di questo tipo gioveranno solo ai concessionari di auto elettriche e ibride, non alla qualità dell’aria. Il settore si espanderà infatti solo grazie alle direttive del Consiglio di Stato Centrale che, con pesanti incentivi individuali e investimenti nella rete di ricarica, vuole avere 5 milioni di auto elettriche circolanti entro il 2020.