Secondo la “teoria classica”, il lancio di una startup prevede il rispetto di una procedura piuttosto standardizzata: la stesura di un business plan, la presentazione dello stesso ad un pool di investitori (qualora ce ne siano), la formazione di un team, il lancio del prodotto. Una teoria rimasta in voga per decenni.
Recenti studi realizzati da Harvard Business Review hanno però messo in luce una questione a dir poco lampante e scoraggiante: il 75% delle startup finiscono per fallire. Da qui il bisogno di cercare qualcosa di alternativo ed in grado di aumentare le probabilità di successo del progetto o, in caso di fallimento, di attutirne i costi. La risposta arriva da una metodologia che sta prendendo piede con sempre più insistenza sulla scena americana e che già comincia a trovare posto fra i banchi delle più prestigiose Business Schools: la “Lean Startup”, traducibile in un italiano spinto con il termine di “startup striminzita”.
La Lean Startup è un approccio studiato per lanciare sia business che novità commerciali, basato sulla sperimentazione scientifica e sul rilascio iterativo di tali prodotti. Così si è in grado di ridurre il ciclo di produzione degli stessi, di misurare il progresso e di ricevere un valido feedback dai clienti. Grazie a ciò, le società, specialmente le startup, possono avviare il loro progetto e soddisfare la domanda della loro customer base senza richiedere una grande quantità di finanziamenti iniziali o dispendiosi lanci di prodotto. Insomma, un metodo che permette una drastica riduzione dei rischi e in grado di consentire agili cambi di rotta. Tutto ciò meriterebbe evidentemente di essere presentato con studi più ampi ed un’analisi comparata di casi tipici.
Quello che Smartweek vi propone sono invece 3 punti di vista che il metodo Lean può fornire fin da subito ad uno startupper per una riflessione, sia in fase di ideazione del business plan che di approccio al progetto.
1. Un business plan raramente sopravvive oltre il primo incontro con gli investitori. Come disse Mike Tyson riguardo la strategia pre-combattimento: “Tutti hanno un piano finché non prendono il primo cazzotto in faccia”. Parafrasato: attenzione a dare troppo peso alla teoria.
2. Nessun venture capitalist (salvo qualche ex-manager sovietico) richiede previsioni di vendite da qui a dieci anni che comprendano ogni sorta di unknowns. Piani di questo tipo sono generalmente inventati e casuali; pertanto, realizzarli con questo approccio è una perdita di tempo e distoglie l’attenzione da aspetti più importanti.
3. Le startup non sono la versione ridotta di aziende multinazionali o conglomerati. Non devono cioè rispettare e programmare piani di organizzazione quinquennale o rigidi schemi. Quelle che in via definitiva hanno successo sono quelle che vanno rapidamente da un errore all’altro rialzandosi agilmente e correggendo la loro idea strada facendo, imparando a partire dalla risposta dei clienti.
Per chi fosse interessato ad una indagine e analisi più approfondita del metodo, consigliamo la lettura del testo su Harvard Business Review “Why the Lean Start-Up Changes Everything” di Steve Blank.
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