Dal Big Data all’Open Data

Con il diffondersi di Internet, della banda larga e di mezzi informatici sempre più performanti, le possibilità di accumulare dati, di correlarli a fenomeni sempre più complessi, e di processarli in modo da poter ottenere informazioni utili e fruibili è cresciuta in modo esponenziale. Viviamo nell’era del “Big Data”, termine di derivazione anglosassone che indica appunto la colossale mole di informazioni di cui oggi si dispone quotidianamente.

Tanto per essere più specifici, ogni giorno creiamo 2.5 quintilioni di byte di dati. Una cifra spaventosa, tanto più se consideriamo che il 90% dei dati presenti oggi è stato creato solo negli ultimi due anni. Dati che provengono da ovunque: sensori usati per captare informazioni sul clima, post sui social networks, foto e video digitali, registri che tracciano le transazioni telematiche, segnali GPS dei telefonini e molto altro ancora. Tutto questo è Big Data.

Non si tratta semplicemente di un cambiamento tecnico nel processare dati di maggiori dimensioni, ma dell’opportunità di raggiungere un nuovo livello nella comprensione di fenomeni complessi (es. dinamiche meteo) e di rispondere a domande che prima erano considerate al di là della nostra portata. Molte imprese sentono quindi la necessità di sviluppare piattaforme in grado di analizzare i dati di cui dispongono per poter migliorare i propri servizi o per fare previsioni sul futuro verificarsi di certi fenomeni. A questo proposito è emerso in modo scioccante ma non del tutto inaspettato come i dati costituiscano asset di valore nello scandalo coinvolgente la NSA(National Security Agency) ed il governo americano, il così detto “Datagate”.