“To the infinity and beyond”. Sembra essere sempre questa l’impressione che fuoriesce dai misteriosi ma sempre creativi laboratori di Emeryville, CA. Solo lo scorso anno, un utile netto di 5,68 miliardi di dollari dentro un fatturato totale di 42 mld circa, film già diventati must, milioni di grandi e piccini commossi e divertiti in quasi 20 anni di produzione. Parliamo della Disney Pixar, regina incontrastata del mercato dell’animazione cinematografica, fresca dell’ennesimo successo con il prequel del famosissimo Monster and Co.
Ebbene, la Pixar ha sollevato negli ultimi mesi, sui media americani, una notevole discussione riguardo la, per certi versi sconcertante, decisione di rinunciare all’uscita di nuovi film fino all’autunno 2015. Per la prima volta dal 2003, nessuna grande animazione riempirà scaffali di negozi ludici, nessuna sorpresina nei kids-menu dei fast food, nessun nuovo eroe sugli astucci dei più piccoli a scuola. In un periodo di fortissima crisi, come può accadere tutto ciò? Come può la più grande macchina da soldi hollywoodiana decidere di fermarsi per un anno e mezzo? Numerose critiche sono arrivate oltreoceano, come del resto diversi apprezzamenti nel mondo degli squali di Wall Street (quelli veri, non come i simpatici pesci di Finding Nemo) verso chi, in regime di austerity, scommette su un rischio così elevato.
Ma le cause? Qui viene il bello. Strano a dirsi, ma il motivo principale sembra non essere quello economico. Negli ultimi 10 anni, ogni film Pixar è costato in media sui 200 milioni di dollari, facendone guadagnare almeno il triplo alla casa californiana (fino all’exploit di sestuplicare il budget iniziale con Toy Story 3, guadagno netto di 1.063.171.911 $). Quindi, perché rischiare di non incassare per il prossimo anno e mezzo, nelle più povere previsioni, una cifra vicina al miliardo?