Dopo anni di crescita del gigante sudamericano, S&P taglia il rating. Lo ha deciso lunedì notte: l’agenzia ha abbassato il rating da BBB a BBB-, il più basso mai avuto dal Brasile. Le cause principali sono il rallentamento della crescita e le politiche di bilancio espansionistiche del presidente Rousseff. I conti statali peggiorano, il debito cresce, ma l’economia no. Ad aggravare la situazione è il governo, che sta perdendo credibilità e si rivela sempre più incapace di porre un freno al crescente indebitamento e ad un’inflazione incandescente.
Anni fa S&P esaltava i risultati dell’ex presidente Lula, che era riuscito a dare avvio al miracolo economico brasiliano. Ora invece attacca la condotta della Rousseff. L’obiettivo della Rousseff era quello di indirizzare il credito bancario non solo verso il consumo, ma soprattutto verso la produzione. Le banche però non hanno accolto con favore il messaggio e S&P non ha tardato ad attaccare.
A peggiorare la situazione contribuisce anche la mancanza di chiarezza sul futuro. Lo sfrenato consumismo promosso soprattutto dall’ex governo Lula ha portato i brasiliani a contrarre debiti con le banche per comprare dalla casa all’auto al telefonino. Questo boom economico “creato” dal governo è stato fondamentale per sostenere la diffusione di multinazionali straniere. Oggi però la situazione diventa difficile da sostenere e affinchè le persone siano in grado di ripagare i debiti è fondamentale avere un mercato del lavoro efficiente, che però al momento non è garantito, visti i recenti licenziamenti di alcuni colossi tra cui General Motors.
Per il momento S&P esclude di ridurre ulteriormente il rating nel breve termine, ma la permanenza del Paese tra i giganti mondiali è comunque a rischio. Riuscirà la Rousseff, anche in vista delle prossime elezioni di ottobre, a ridare credibilità al Paese?