Alcuni la descrivono come l’esperienza della vita. Hanno proprio ragione. C’è chi dice che sia soltanto feste, delirio e divertimento. È molto di più. Essenzialmente, più che ogni altra cosa, l’Erasmus è scoperta, ma non di un’altra cultura, di altre lingue, di altri modi di pensare o di studiare.
È, soprattutto, scoperta di se stessi, dei propri limiti, delle proprie paure, delle proprie capacità e potenzialità. È scoperta di quelle idee che non si sarebbe mai pensato di interiorizzare, di quegli amori che non ci si immaginerebbe mai di provare, di quella diversità che diventa semplicemente pura bellezza del diverso. É scoperta di tutte quelle novità che proviamo per la prima volta quando abbiamo il coraggio di partire e non voltarci indietro.
È scoperta delle amicizie fraterne che nascono tra libri, pause caffè e ricerca di un alloggio dopo una settimana in ostello. È scoperta di chi sei e chi vorresti essere, e anche di come capire ad essere chi sarai un giorno. Ma tutte le cose finiscono, e a volte, dopo mesi di felicità, ti ritrovi semplicemente seduto nella sedia di metallo di un aeroporto, davanti ad un gate per un volo che vorresti non prendere, per tornare a casa. E la vita di tutti i giorni riprende, con la sveglia presto, la colazione con caffè e cappuccino alla quale non eri più abituato, il piatto di pasta a pranzo che avevi dimenticato, la pizza la sera che ti era mancata.
Ci vuole un po’ per realizzare che tutto è tornato normale, per capire davvero che quel mondo che era diventato il tuo è ormai lontano, che tutte quelle persone che avevi conosciuto andranno avanti senza di te esattamente come dovrai fare tu con loro. E pian piano, l’Erasmus col passare delle settimane e dei mesi diventa un ricordo, una storia da raccontare davanti ad una birra e quattro amici al solito bar mentre guardi la partita di calcio.
Si prova quel senso di smarrimento, una volta tornati, nel guardarsi intorno e pensare “ma che ci faccio di nuovo qui?”.
A vivere quel tempo che ormai, qualsiasi cosa tu faccia, sembra un po’ più sprecato, un po’ più perso, un po’ più senza senso. Qualche amico ti darà che è solo la classica depressione post-Erasmus, piaga degli studenti europei dopo i loro mesi di gioia. É l’amaro in bocca dopo la cosa più dolce. Ma vale la pena essere anche un po’ tristi, un po’ malinconici e qualche volta, perchè no, un po’ arrabbiati. Perchè dopotutto, per quanta noia, frustazione, fastidio si possa provare quando si torna a casa, quando casa l’avevi vista l’ultima volta eri un altro, e ora sei qualcuno di cui essere più orgoglioso.
Perchè tornare, in fondo, significa continuare. E per continuare, è sempre meglio avere quel qualcosa in più che solo le grandi avventure di vita ti possono dare. Magari è triste per davvero, ma la felicità richiede anche di saper imparare.