Quando un gigante tra i social come Facebook decide di modificare l’algoritmo che determina la visibilità di un post, inevitabilmente sa di camminare su un terreno molto scivoloso. Il motivo è facile da comprendere. Per le grandi aziende visibilità diventa sinonimo di ritorni pubblicitari. E’ naturale che , se viene ritoccato un canale marketing dove sono stati investiti spesso ingenti quattrini, questo crei disagi a chi ne è a capo.
Non ci facciamo nemmeno caso ma il tutto avviene secondo una logica precisa e molto semplice da comprendere. Utenti e pagine creano post che poi decidono liberamente di pubblicare. D’accordo, lo facciamo tutti quotidianamente. Il fatto è che questi post finiscono nei newsfeed dei rispettivi amici, o nel caso della pagine, dei propri fan. Qui entra in gioco il valore di Edgerank, nome attribuito all’algoritmo in questione: più interagiamo con una pagina o un altro utente, maggiori sono le probabilità che un suo post venga visualizzato successivamente tra le nostre top news. Esiste una precisa scala di valori, per determinare l’intensità di una relazione. Banalmente, un commento ad un post è più importante di un like. Ancora, l’algoritmo tiene conto dell’età di un’interazione, diminuendone il valore man mano che queste invecchiano. Conseguenza ovvia: scordatevi che tutti i vostri 1000 e passa amici leggano il vostro commento alla partita della nazionale. Statistiche e report suggeriscono che lo farà solo il 16% di loro.