Facebook ha una politica ben nota che si chiama”real names“, che mira all’identificazione ed eventuale chiusura di account falsi e offensivi. Ma cosa succede se il tuo nome risulta essere un po’ “troppo reale” per la piattaforma?
Prendiamo l’esperienza di Isis Anchalee, un’ingegnere di San Francisco, nota per aver avviato la campagna social #ILookLikeAnEngineer, lanciata ad inizio anno per denunciare il sessismo ai danni delle donne che lavorano nell’industria tecnologica. Anchalee suggeriva che la ragione della chiusura del suo account fosse che il suo primo nome è lo stesso dell’abbreviazione per lo Stato Islamico – ISIS – il gruppo responsabile, tra le altre atrocità, dei recenti attentati di Parigi.
La donna è stata costretta a inviare a Facebook il proprio passaporto per consentire l’accertamento della sua identità e Facebook solo a quel punto ha riattivato il suo account.
Tuttavia, pur essendo riuscita ad accedere nuovamente alla sua pagina, il problema persiste: come può Facebook eliminare linguaggi offensivi o gruppi criminali che utilizzano il sito, ma allo stesso tempo “accettare” nomi come ‘Isis’, utilizzati da secoli?
Un’altra disavventura simile è capitata ad un uomo australiano-vietnamita, Phuc Dat Bich, nome che in vietnamita è pronunciato ‘Phoo Dat Bic’.
Nel mese di gennaio, Phuc Dat Bich ha scritto su Facebook che il suo account era stato chiuso dalla rete dei social media più volte.
“Trovo molto irritante il fatto che nessuno sembra credermi quando dico che il mio nome legale completo è questo”, ha scritto, Bich insieme a una foto del suo passaporto. “Sono stato accusato di usare un nome falso e fuorviante. Una cosa davvero offensiva.”
La polemica
In passato, la politica “real names” di Facebook è stata definita razzista, discriminatoria e anche pericolosa per le persone che hanno bisogno di assumere nuove identità per proteggersi. Nativi americani, drag queen che intendono registrarsi sotto i loro nomi d’arte e transgender hanno tutti violato la regola.
In risposta alle polemiche sui nomi LGBT alla fine del 2014, il CPO di Facebook Chris Cox si è scusato ma ha affermato che la politica real names è “il meccanismo principale” che la società ha a disposizione per proteggere gli utenti da persone che si nascondono dietro pseudonimi falsi.
La soluzione
Piuttosto che rischiare di condannare i profili di persone che come Isis utilizzano Facebook in maniera totalmente innocua, Facebook dovrebbe sviluppare un nuovo sistema di identificazione di account sospetti che non si basi sul nome dell’utente ma sull’utilizzo che esso fa del social, al fine di limitare la chiusura di profili che non sono in alcun modo relazionati ad eventi negativi e non costituiscono minacce di alcun tipo per gli altri.