L’Economista Giorgio Prodi a Smartweek: “Partito Comunista Ancora Centrale nell’Economia Cinese”

giorgio prodi, gei

Crisi bancaria, Bce e ruolo della Cina nel nuovo ordine mondiale. Abbiamo fatto due chiacchere con Giorgio Prodi, professore Associato in Economia Applicata all’Università di Ferrara, consigliere Gei, Research Fellow di Twai e membro del comitato scientifico di Nomisma.

Partiamo dal caso banche. Visco è stato riconfermato nonostante la contrarietà di Renzi e del Pd. Scelta giusta? A chi è da imputare la crisi bancaria?

Credo che l’indipendenza della banca d’Italia debba essere salvaguardata, così come in generale, vi sia bisogno di un grande rispetto delle e tra le istituzioni. Ovviamente la politica ha tutto il diritto di intervenire ma sempre nel rispetto dei ruoli. Chiedere informazioni per migliorare è utile ed opportuno, la nomina del governatore dovrebbe rimanerne, pero, fuori. Per altro, se l’obbiettivo era quello di cambiare il Governatore, un intervento di questo tipo ha avuto l’effetto opposto, costringendo, di fatto, il governo a rinominarlo proprio per confermare l’indipendenza della banca d’Italia. Non ho competenze per dire di chi sia la colpa della crisi bancaria e non so neanche quanto sia utile farlo. Certamente la crisi non è stata solo italiana ed è figlia della crisi globale del 2008. Forse altri paesi sono stati più rapidi ed efficaci nel risanare i loro sistemi bancari. L’Italia, anche a causa del suo debito pubblico, ha ritenuto di non intervenire con altrettanta forza e adesso sono subentrati i vincoli del bail in. Infine ci sono responsabilità personali di chi ha prestato denaro (non suo) seguendo criteri che poco hanno a che vedere con una qualsiasi logica economica.

L’aspettativa di vita, ha certificato l’Istat, è salita di 5 mesi a 65 anni, facendo quindi salire l’età pensionabile, dal 2019, a 67 anni. Il ministro Maurizio Martina ha chiesto di rivedere l’aumento automatico perché “non tutti i lavori sono uguali” e “non tutti i lavoratori hanno la stessa aspettativa di vita”. Come se ne esce?

L’Italia ha un sistema di welfare fortemente sbilanciato a favore del “pilastro” delle pensioni. Se vogliamo un paese un po’ più dinamico, che dia speranza alle nuove generazioni era necessario cercare un diverso equilibrio. La riforma delle pensioni, con tutti i suoi limiti ed eccessive semplificazioni, andava in questo senso. Se la vita media si allunga è ragionevole che si allontani il momento della pensione a meno che non si voglia aumentare ancora il fardello che si lascia alle generazioni future. Il problema è che limitarsi ad una definizione rigida e unica di vita media può creare situazioni non eque. Non tutti i mestieri sono uguali e diversi stili di vita (che dipendono anche dal lavoro che si svolge) influenzano la vita media. Non è facile fare dei distinguo ma ci si deve provare. Ma ancora, lo stesso lavoro può essere più o meno usurante a seconda della persona che lo svolge. Credo che la flessibilità in uscita sia centrale. Alcuni possono preferire andare in pensione qualche mese prima ed avere un assegno un po’ più leggero. Altri possono voler rimanere al lavoro magari part time negli ultimi anni lavorativi. In un contesto dove le pensioni si riducono dare la possibilità di scelta è importante anche se non risolve tutti i problemi.

“Gli acquisti di titoli di Stato vengono ridotti da 60 a 30 miliardi al mese dal prossimo gennaio ma estesi almeno fino a settembre o anche oltre se sarà necessario” ha detto il presidente della Bce, Mario Draghi. Il suo mandato finirà nell’ultimo trimestre del 2019. Al suo posto si pensa ad un francese o ad un tedesco. Quanto influirà il cambio di poltrona sull’economia europea e a cascata, su quella italiana?

Non sono un indovino. Che siano 60 o 30 miliardi non è tanto importante. L’obbiettivo è mantenere bassi i tassi d’interesse e se per ottenerlo bastano “solo” 30 miliardi va bene così. È ovvio che l’acquisto di titoli di Stato non possa durare all’infinito. Nell’ultima indagine svolta dal GEI, Gruppo Economisti d’Impresa oltre il 60% degli economisti intervistati ha dichiarato di aspettarsi un raffreddamento della politica monetaria della Banca Centrale Europea. Le scelte di Draghi hanno aiutato non solo l’Italia ma tutta l’Europa. Cosa farà il successore dipenderà dall’andamento dell’economia europea. È triste, e dice quanto ci sia ancora da fare per la costruzione di una vera Europa, che ci si preoccupi della nazionalità del presidente della BCE. È ovvio che da un aumento dei tassi d’interesse l’Italia con il suo debito è il paese che più ha da perdere. Non credo però che sia interesse dell’Europa o della Banca Centrale Europea mettere in difficoltà la terza economia del continente in un momento storico dove ci sono già moltissimi fronti aperti.

Durante il 19esimo Congresso del Partito Comunista, il segretario generali Xi Jinping ha assicurato che “la porta della Cina è stata aperta e si aprirà di più” e che continuerà la “liberalizzazione dei cambi e dei tassi d’interesse”. Le parole di Jinping rispecchiano i fatti oppure si tratta solo di una mossa politica per rassicurare l’Occidente?

Il 19congresso ha ribadito con forza il ruolo centrale del partito anche in economia. La Cina farà quello che riterrà necessario per continuare a crescere e rimanere stabile. Onestamente non mi aspetto una liberalizzazione sostanziale dei tassi di cambio ed interesse nel medio periodo perché altre sono le priorità del paese. Direi che anche i segnali più recenti vadano nella direzione che ho descritto. Basti pensare a come il Governo cinese indirizzi gli investimenti esteri del proprio paese, definendo settori e aree d’interesse.

In una sua pubblicazione sul China & World Economy, lei affronta il tema della Nuova Via della Seta, iniziativa strategica della Cina per il miglioramento dei collegamenti e della cooperazione tra paesi nell’Eurasia. Quali benefici ne potrà trarre l’Italia?

È difficile avere un’opinione precisa sull’impatto che la Belt and Road Initaitive potrà avere non solo in Italia ma più in generale sull’economia globale. È difficile perché non c’è una definizione chiara su che cosa faccia effettivamente parte della BRI e cosa no. Ancora più difficile è capire quali investimenti, quali infrastrutture, saranno poi effettivamente fatte. Per il nostro paese la sfida è quella di essere una delle destinazioni finali delle rotte che vengono e vanno in Asia sia via mare sia via ferrovia. A mio parere le sfida più importante si gioca nei porti del nord adriatico e del nord tirreno. Il porto del Pireo, di proprietà cinese, è il naturale approdo della BRI. Il nord dell’adriatico può (mi verrebbe da dire deve) diventare un hub che serve non solo il nord Italia ma anche il centro Europa e, perché no, parte della Germania. I porti del nord del tirreno hanno mercati di riferimento altrettanto importanti e potrebbero sviluppare sinergie con porti vicini come Marsiglia. Non si tratta solo di investire nei porti ma nell’integrazione con ferrovie e strade. Se questo avverrà a giovarne sarà tutta la manifattura del nostro Paese.