Italiani al Museo? Solo all’Estero

Aprile 2009, un visitatore si presenta alla biglietteria dell’area archeologica di Ravanusa, provocando lo sbalordimento dei dieci custodi addetti: era il primo dell’anno. Estate 2012, Palazzo Barberini chiude al pubblico per due domeniche consecutive, non potendo garantire l’apertura in sicurezza del sito a causa della carenza di personale addetto. Soltanto due tra i principali fatti di cronaca rilevanti al fine di comprendere l’attuale situazione economica dei musei italiani.

Proprio lo scorso aprile il giornalista Gian Antonio Stella rende noto un dato agghiacciante: tutti i musei d’Italia guadagnano complessivamente meno del solo Louvre. In effetti, esaminando i dati messi a disposizione dal MiBAC (Ministero per i Beni e le Attività Culturali) per il periodo compreso tra il 1996 ed il 2012, emerge un introito lordo medio pari a 31.505.504,73 €, ricavato da una serie di numeri che presentano una varianza pari circa a 2,48, ovvero non sensibilmente distanti dal valore medio. Per avere un adeguato termine di paragone, si pensi che il Louvre guadagna mediamente il 25% in più ogni anno.

Le cause del divario sono molteplici, ma tra le più rilevanti appare il problema della differenziazione del pubblico. I dati del 2012 mostrano infatti che circa il 40% dei visitatori di musei e circuiti museali in genere non paga il biglietto d’ingresso. Conseguenze? I bilanci di queste istituzioni sono perennemente in negativo, il personale non adeguatamente retribuito, le condizioni strutturali dei siti in costante peggioramento, condizioni di erogazione del servizio di bassa qualità.

La possibilità di miglioramento, però, esiste ed è attuabile, se si evita di guardare al futuro e alla popolazione in modo miope. I punti caldi di una gestione vincente delle istituzioni culturali sono innovazione e fidelizzazione. Siccome la riduzione al minimo del costo dei biglietti di ingresso ha portato a risultati evidentemente scarsi, serve trovare un modo nuovo di intendere un giro al museo, una passeggiata presso un sito archeologico o un pomeriggio all’auditorium. Proprio con questo spirito anche il nostro Paese ha deciso di prendere parte alla “Notte nei musei”, un evento annuale in cui tutti i musei d’Europa propongono un’apertura straordinaria notturna per ricordare il valore del patrimonio artistico del proprio Paese. In questo modo, le istituzioni culturali sperano di attirare un vasto pubblico e quindi puntare in qualche modo a fidelizzarne una parte, ovvero stimolare l’interesse artistico per garantirsi una fetta costante di popolazione attratta dalle attività di un determinato sito. Tale approccio risulta sorprendente se paragonato con il più semplice business prodotto da bookshop e negozi di souvenir, il cui contributo è, però, rilevante ai fini del bilancio annuale.

Ottime notizie giungono anche dalla politica: il governo Letta ha infatti presentato lo scorso agosto il decreto Valore Cultura, approvato a Montecitorio con 323 sì, 17 no e 96 astenuti. Tale decreto si presenta come una ventata d’aria fresca nell’ambito culturale in quanto, tra i numerosi punti affrontati, prevede la creazione della posizione di Direttore manager per Pompei, lo stanziamento di fondi per il risanamento delle fondazioni liriche e la selezione di 500 laureati under 35 per un tirocinio di 12 mesi al fine di digitalizzare e catalogare il patrimonio del Paese.

Infine, una riflessione: se solo si potesse investire l’1% in più del Pil nell’ambito artistico-culturale, il nostro patrimonio ne riceverebbe una spinta formidabile e per il Pil la situazione rimarrebbe immutata. E probabilmente i dipendenti di Ravanusa non proverebbero più tutta quella sorpresa.

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