Quando non sai dove andrai in vacanza -perché non sai se effettivamente avrai delle vacanze- ma sei al contempo stanca di vederti color preservativo, non ti resta che andare in piscina. Che sarebbe fantastico e rilassante, se solo non ci fossero anche altre persone. Persone di cui agevolo descrizione tipizzata ma molto realistica così, perché è un po’ che non sparo immotivatamente a zero sull’umanità ergendomi a finta sociologa mestruata.
1. La coppia lobotomizzata
Sarà che inalano più cloro dei single, ma in piscina le coppie subiscono un processo cerebrale involutivo peggio di Bruce Willis che passa dall’essere il truce sicario di Slevin – Patto Criminale a quello che non riesce a connettersi al wifi né tantomeno a pronunciare la parola fibra. Io capisco che siate lì per rilassarvi (che poi in realtà non lo capisco, perché io con di fianco il mio ragazzo tutto gocciolante in costume penso a tutto fuorché al relax), ma in genere la scena è questa. Lei chiede a lui di metterle la crema. Che uno pensa “wow che gesto lussurioso a cui sto per assistere” per poi invece vedere lui che le schiaffa mezzo litro di nivea protezione 60 sulle scapole, cercando di distribuirla con aria tra l’impacciato e lo schifato mentre negli occhi gli si può leggere la preoccupazione per come fare poi a togliersela dalle dita. La schiena di lei alla fine sembra il set di una scena erotica tra Giovanni Muciaccia e un vasetto di colla vinilica, ma lei ne è all’oscuro e lui trova comunque più interessanti le schiene delle altre. E te credo: la coppia lobotomizzata passa il pomeriggio in stato vegetativo ognuno sul proprio lettino (altra cosa che non capisco) tenendosi nel migliore dei casi per mano e nel peggiore per il mignolo tipo Terry e Maggie quando si teletrasportano. Ci sono, a loro difesa, dei raptus di vita. C’è il momento del bagno, con lui simpaticissimo che si tuffa a bomba e lei che entra in piscina con la scioltezza con cui io entrerei in una vasca di vedove nere. C’è il momento finezza, con lui che schiaccia i brufoli a lei che per dimostrare la propria riconoscenza rompe il silenzio con un “amore, ho digerito adesso il salmone figaminchia”. E c’è, immancabile, il momento selfie, durante il quale lui si chiede cos’ha fatto di male nella vita e lei si lamenta di essere inguardabile in quanto struccata e ustionata (in questo momento dovrebbe toccare a lui che la rassicura “no amore tranquilla sei bella come un gol di Chiellini” e invece niente, perché in quel momento lei probabilmente a Chiellini ci assomiglia) ma l’importante è far vedere che #lovemelikeyoudo quando nella realtà si è più l’oki e la tv.
2. ll gruppo di liceali
Li riconosci: pallidi, perché hanno appena scoperto di avere cinque materie giù o al massimo sono sotto maturità, e tutti uguali, vale a dire boyz con canotta dei celtics + snapback obey + tatuaggi con citazioni di Fedez e girlz con microtop, maxipancia, shorts a vita alta e sandali da allevatrice di vongole. La cosa peggiore è che sono tanti, anche se devo ringraziare lo sviluppo tecnologico per averli resi silenziosi. Durante i pomeriggi goliardici della mia adolescenza si rideva, si urlava, si flirtava, si chiacchierava, si parlava male di chi non c’era e bene di chi ci piaceva, si imitavano i prof, ci si lamentava dei genitori, si ricordavano le gite e si cercavano di dimenticare le prime serate in discoteca. Oggi invece ci sono gli iPhone. Gli adorati iPhone. E quindi ognuno si fa gli stracazzi suoi tra post e snap e le uniche forme di interazione sono “madonna raga beccatevi sta foto da vacca della Sere” “sì però è figa” “oh ma taci coglione” e “cazzo mi schizzi con l’acqua che ho in mano l’iphone cretino”. Ah, li ho anche visti interagire per scroccarsi sigarette a vicenda, con quegli adorabili pacchetti da 10 che quello da 20 costa troppo e soprattutto “mia madre lo trova in tempo zero” e anche -il che mi ha gelato nonostante i 45 gradi a bordo piscina- scriversi in chat pur essendo a distanza di un lettino e mezzo. Per dirla con il loro linguaggio: giovani amici, whatsapp è magnifico ma limonare di più.
3. La famiglia con prole
Che ci si creda o no, fra le mie innumerevoli doti spicca quella di essere molto calma. Odio tutto ma non mi arrabbio praticamente mai, pochissime cose riescono a infastidirmi e ancor meno a innervosirmi, sono il contrario dell’ansia e dell’irascibilità e spesso sono quella che deve dire agli altri di rimanere calmi (rendiamoci conto di che gente posso conoscere). Ecco, se c’è una cosa che mi fa sfiorare il labile confine tra atarassia ed ergastolo per omicidio volontario con aggravante dell’efferatezza sono i bambini in piscina. Non tutti. Quelli molto piccoli ad esempio no, loro al massimo dondolano ciondolanti per qualche metro finché non cadono sulle proprie rotondità perplessi dalla perdita di baricentro probabilmente dovuta a un vuoto d’aria all’interno delle guance. No, la fascia d’età peggiore è quella 5-9 anni, quando gli infami sono ancora troppo piccoli per il mutismo da social ma abbastanza grandi non solo per entrare nella piscina degli adulti ma anche per correre, tuffarsi, lanciare oggetti, correre, venirti addosso mentre sei sul lettino, tuffarsi, venirti addosso mentre stai nuotando, urlare, giocare a calcio, correre, tirarti una pallonata, due, tre, otto, tutto ciò ridendo in modo sguaiato con genitori che o li abbandonano totalmente al proprio destino o ridono sguaiatamente insieme a loro. Facendo le vocine idiote “gooooool bravo Mattiii” e “uuuu che tuffone il mio Kevin” e “corricorricorri volavolavola l’aeroplaninoooo” e guardandoti, dopo l’ottava pallonata, il quinto sgambetto e la terza craniata sul gomito con quell’espressione da “cosa vuoi farci, sono bambini”. Lo so benissimo che sono bambini. Tu però dovresti capire che se non ho deciso di averne di miei è davvero poco probabile che voglia scontare la condanna dei tuoi.
4. Belen ma non posso
E poi c’è lei. Ha un bel fisico e sa di averlo. Certo, quando esce dall’acqua è più vicina alla donna-pesce di Magritte che a Bianca Balti sul gommone tra i faraglioni con David Gandy ma è comunque sopra la media della restante fauna che popola la piscina, e infatti può permettersi un bikini sgambato e appariscente anziché un body contenitivo color carne. Forte di questa consapevolezza può dosare gesti e azioni come se da un momento all’altro dovesse spuntare Enrique Iglesias per girare il video del tormentone latinoamericano di turno. Si spalma la crema a rallenty, si alza a rallenty, si stiracchia sobriamente rischiando la scoliosi e il distacco della quinta vertebra lombare, si veste a rallenty, che da quello che indossa pensi debba andare a una festa, a una cena di gala o alla notte degli oscar quando invece è semplicemente diretta al bar per comprare un winner taco. Torna al suo posto dopo aver raccolto l’accendino caduto a terra in modalità Virginia Raffaele dimenticandosi che le ginocchia si possono anche piegare, prosegue sfilando noncurante degli screening femminili (“no cara, è inutile che cerchi la cellulite”) mentre addenta il winner taco con regale maestria (e sempre a rallenty), facendo riecheggiare quel maestoso cronch nelle scatole craniche del parterre maschile ormai non più presente a se stesso. Non nuota, cosa che deve essere passata di moda in un momento in cui ero distratta. Preferisce giustamente assistere allo scompiglio creato assumendo pose plastiche sul lettino di plastica alla faccia delle gilf con le facce di plastica, godendosi il sole e il monopolio ormonale. Almeno finché, disgraziatamente, non arriva una più figa.
Confesso: a me ogni tanto la camminata paloinculo un po’ involontariamente parte. Ma almeno nuoto. Perché c’è un solo modo, in piscina, di rendersi immuni dai brufoli delle coppie, dallo slang dei sedicenni, dalle urla dei bambini e dalla colonscopia della fregna di turno: stare sott’acqua, finché sincope non vi separi.