“Who’s your daddy?” No. “Hu’s your daddy”. Così Michele Bachmann, candidata conservatrice del Minnesota alle ultime elezioni presidenziali del 2012, aveva manifestato le proprie preoccupazioni circa lo stato del debito statunitense, all’apertura della Conservative Political Action Conference del 2011. L’espressione gergale, comunemente intesa ad esprimere il reclamo di una posizione ”dominante”, faceva riferimento questa volta all’attuale Presidente cinese Hu Jintao, e ai timori con oggetto l’ingente mole del debito americano posseduta dal suo paese.
Secondo le statistiche pubblicate lo scorso Gennaio da Fox Business, la Cina, detenendo circa $1300 miliardi di debito statunitense – quasi l’8 percento del debito totale – si riconferma il più grande creditore estero degli Stati Uniti. Una “sino-dipendenza”, come l’ha definita l’Economist, quella a stelle e strisce che non si limita al debito governativo ma, stando all’indice specificatamente sviluppato dal settimanale britannico, si espande ad includere le fortune delle multinazionali americane.
I dati dell’Economist suggeriscono un’ampia influenza esercitata dal potere di consumo cinese sulle imprese USA, a partire dai settori tecnologici – con un peso dell’11 percento sul fatturato di Apple – al largo consumo – Procter & Gamble, Philip Morris, Coca Cola – fino ai colossi industriali di GE e 3M, che dipendono dalle volontà d’ acquisto del Dragone per almeno il 2 percento del proprio fatturato. Valori, quelli dei consumi cinesi, che se in assoluto possono impressionare, comparati relativamente al prodotto interno lordo del Middle Kingdom, non raggiungono l’un terzo del suo valore totale, a fronte dei due terzi che si registrano negli Stati Uniti o nell’Europa Occidentale.