“Quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo. È come offrire un caffè al resto del mondo.” Così Luciano De Crescenzo descrive l’usanza tutta partenopea del “caffè sospeso”, pratica tanto curiosa quanto contagiosa. Negli ultimi anni si è diffusa infatti in tutto il mondo, tanto che oggi si può ordinare un “pending coffee” a New York, un “café suspendu” in Francia, un “uppskjuten” in Svezia o un “café pendiente” in Agentina. Nell’ambiente economico si parla già di “pay it forward commerce”: una vera e propria forma di commercio per cui il cliente, oltre a saldare il proprio conto, paga al commerciante anche un altro bene senza né consumarlo né portarselo via. Il bene acquistato e non riscosso prende l’aggettivo di “sospeso”, cioè rimane a disposizione del cliente successivo che potrà goderne senza metter mano al portafogli.
Il fenomeno, già straordinario per ciò che di più economico e quotidiano si possa trovare in un bar, si sta progressivamente ampliando ad altri beni: partendo dal concreto e scaccia-crisi “pane sospeso”, fino ad arrivare al più romantico e poetico “libro sospeso”. Un’incredibile risposta all’usanza partenopea è arrivata proprio dai social network, i cui utenti si sono dimostrati entusiasti del gesto e ne hanno permesso una diffusione a macchia d’olio: la catena virale si è spostata quindi dalla tazzina al piatto, dal bancone agli scaffali.
Che sia per senso di colpa o per diffusa gratitudine nei confronti del mondo poco importa, la realtà è che il “mercato in sospeso” si è diffuso a tal punto da incuriosire anche gli economisti dell’Università di Berkeley. In 8 diversi esperimenti i ricercatori della University of California hanno studiato come più di 2400 individui hanno risposto ai due diversi modelli di pricing: quello comune e il pay it forward. I risultati hanno dato alla luce un dato decisamente singolare: è emerso infatti che in presenza di forme commerciali del tipo “pay it forward” si instauri un comportamento contro-intuitivo per cui i consumatori hanno pagato regolarmente di più per il consumatore successivo che per se stessi. I clienti dei ristoranti coinvolti nella sperimentazione, per esempio, di fronte alla possibilità di consumare un pasto già pagato a condizione di lasciarne uno sospeso, hanno dimostrato di essere disposti a pagare più per gli sconosciuti che per loro stessi. La generosità, o in termini economici la “willingness to pay”, si è accentuata ulteriormente quando ai clienti è stata data la possibilità di lasciare un messaggio per il beneficiario del “sospeso”: il valore aggiunto, quindi, è stato individuato nel piacere di fare e ricevere regali, indipendentemente da chi ha lasciato e chi beneficerà del dono.
Così il caffè sospeso, contrariamente ad ogni aspettativa scientifica, si è rivelato solo la punta dell’iceberg per un fenomeno dai caratteri dirompenti: sempre più concreta è infatti l’idea di forme di business basate sul “pay it forward” in grado di autosostenersi e prosperare. Che la tradizione popolare abbia ancora qualcosa da insegnare all’economia? Forse basterebbe ricordarsi che in fin dei conti anche l’homo economicus ha un cuore.