Open banking, APIs, banking as a service e challenger banks, ma anche fusioni e acquisizioni da parte dei player tradizionali: questi i trend principali che guideranno la trasformazione del settore bancario nel prossimo futuro, in particolare nel segmento dei prestiti. Si tratta di una trasformazione nel segno del digitale: il digital lending infatti, l’attività di credito alle imprese e alle persone, è improntato a una crescita esponenziale in tutta Europa. AltFi Data rileva che entro fine anno le piattaforme del Regno Unito – che sono le più antiche e le più importanti – avranno erogato 6 miliardi di euro e l’Europa 3 miliardi. Se guardiamo all’Italia, le previsioni sono persino più rosee: P2P Lending Italia segnala a fine settembre 2018 un erogato di 948,1 milioni di euro (+23,4% rispetto a fine giugno 2018 e +209% rispetto a settembre 2017). L’Italia vale dunque un miliardo, un terzo dell’Europa ex Regno Unito.
E in Italia, come in Europa, il digital lending sta segnando un cambio di passo anche di tipo qualitativo. Le prossime evoluzioni le hanno ipotizzate gli attori del sistema proprio nel corso di LendIt Fintech Europe 2018, la conferenza dell’innovazione finanziaria a cui P101 ha preso parte insieme a BorsadelCredito.it in rappresentanza dell’Italia.
L’interesse dei big players
Nel mercato, stanno emergendo i player più forti che saranno i poli aggregatori del futuro consolidamento del settore. Consolidamento che avverrà seguendo due direttrici: orizzontale (con operazioni di fusione fra player) e verticale (banche o software companies che acquistano alternative lenders). Scrive Kpmg che gli investimenti complessivi nel Fintech europeo hanno sperimentato un grande balzo in avanti nella prima metà del 2018, trainati da importanti deal di M&A, tra cui l’acquisizione di WorldPay da Vantiv per 12,8 miliardi di dollari e quella di iZettle da parte di PayPal per 5,2 miliardi di dollari. La dimensione media del deal in Europa è aumentata dai 23,7 milioni del 2017 ai 60,4 milioni nel 2018, segnale di un mercato che matura. Sul fronte delle aggregazioni verticali, invece, secondo CB Insights, dal 2013 al 2017 sono stati investiti 118 miliardi di dollari dalle banche mondiali nel settore del Fintech e sul podio dei maggiori investitori ci sono Goldman Sachs (37 miliardi) CitiBank (25 miliardi) e JPMorgan (14 miliardi). In questo caso parliamo di colossi, ma il movimento, con diversi gradi di coinvolgimento, riguarda tutte le banche.
Open Banking
In tutto il mondo si sta affermando un modello innovativo di open banking, nato per due motivi: creare maggior competizione nel personal banking e offrire fonti di finanziamento alternativo alle PMI. L’origine dell’open banking non è nell’industria, ma nelle istituzioni, ed è segnata dalla promulgazione di due normative: l’adozione nel 2015 della PSD2 da parte del Parlamento europeo, per promuovere l’uso dei pagamenti elettronici. E, nel 2016, l’introduzione da parte della UK’s Competition and Markets Authority (CMA) dell’obbligo per le 9 maggiori banche britanniche di autorizzare le startup dotate di licenza ad accedere ai dati dei propri clienti. Sarà interessante vedere, ha dichiarato a LendIt George Osborne, ex cancelliere dello Scacchiere e ministro del Tesoro dal 2010 al 2016, come reagiranno le grandi banche. Ovvero se svilupperanno le proprie tecnologie in house o se le compreranno dall’esterno: in ogni caso, tertium non datur, tutte dovranno arrendersi ad accettare qualche forma di alleanza con il Fintech.
Interfacce intelligenti
L’open banking dà nuova rilevanza alle API: le interfacce intelligenti che consentono ai dati di fluire tra sistemi in modo controllato e senza soluzione di continuità. La progressiva crescita delle API è documentata da McKinsey che ritiene che “nei prossimi 18-24 mesi le banche dovranno capitalizzare sui loro vantaggi da incumbent: esplorare accordi di data-sharing con il Fintech e con le società di servizi non finanziari, sviluppare un’idea sui benefici che gli Api possono portare al proprio modello di servizio, sia sfruttando l’accesso obbligatorio di terzi sia estendendolo oltre i requisiti di legge.”
Challenger Banks
I clienti stessi stanno guidando la disruption con la loro domanda di soluzioni sempre più friendly, mobili, accessibili. Non a caso, sulla scena si affacciano nuove realtà che mirano a sostituire il banking tradizionale, ancorato a vecchie legacy sia in termini culturali che di modello di business e tecnologia. Si chiamano challenger banks, locuzione dentro cui si fanno ricadere gli istituti non tradizionali, dalle banche esclusivamente digitali, a quelle tradizionali che hanno cambiato approccio, a quelle specializzate in settori verticali. Le più note sono N26 e Starling Bank, in Italia la prima challenger bank è Hype del Gruppo Banca Sella.
Banking as a service
Infine, il trend più in embrione – ma altrettanto promettente – è quello del banking as a service (Baas): come accaduto nel mondo dell’informatica, dove ormai la norma è che si paghi per l’uso delle applicazioni, senza acquistarle, anche per il banking si andrà nella medesima direzione. Il banking sarà fatto su misura dall’utente con una serie di app
plug-and-play modulabili in base alle proprie esigenze di business o personali, il tutto fruibile da mobile, senza limiti di spazio o tempo.