Il Paese in cui gli Artisti non Pagano Tasse

In un periodo di profonda recessione economica con il rapporto tra debito pubblico e PIL che sta aumentando in molti Paesi, gli sforzi economici, psicologici e fisici delle popolazioni sono sempre più focalizzati sul lavoro e la sua monetizzazione. I soldi servono per vivere e pagare le tasse, così da aiutare il proprio Paese a evitare un crollo delle finanze pubbliche e a sopravvivere. Quale ruolo rimane per la cultura in questo contesto socio-economico? Molti Stati hanno sviluppato politiche fiscali che non incentivano più le arti. Si cerca di aumentare le entrate fiscali, tassando maggiormente anche il settore culturale, e al contempo si tenta di ridurre la spesa, tagliando risorse destinate a questo campo. È la soluzione migliore?

Si potrebbero ideare politiche fiscali ad hoc per il settore culturale, che siano in grado contemporaneamente di incentivare le arti e di aumentare le entrate fiscali di un Paese. Questa è la strada percorsa dal Messico, il primo Stato al mondo ad avere ideato un modo rivoluzionario di sostenere l’erario: gli artisti possono pagare le tasse sul reddito con le proprie opere d’arte. L’idea è nata nel 1957, quando David Alfaro Siquerios, uno degli artisti più influenti dell’epoca, contattò il segretario delle Finanze per liberare dalla prigione uno dei suoi amici, rinchiuso per evasione fiscale. Siquerios propose un pagamento in sue opere d’arti che andasse a colmare il debito fiscale dell’amico. Da allora il programma Pago en Especie ha raccolto 7000 opere tra dipinti e sculture con un meccanismo molto semplice: se un artista vende nel corso dell’anno da 1 a 5 opere d’arte, dovrà “versare” una sua opera d’arte; se ne vende da 6 a 8, dovrà pagare con due opere e così via con un massimo annuale fissato a 6 sculture o dipinti.

Tale patrimonio artistico non è ancora stato stimato sotto un punto di vista economico e non è chiaro quante siano le risorse perse dal mancato pagamento monetario delle tasse. Considerato quest’aspetto che genera scetticismo nei confronti del successo dell’idea, il programma sembra comunque essere un’ottima risposta ai problemi fiscali del Messico. Un Paese che con il 50% della popolazione sotto la soglia della povertà (che non paga quindi tasse) e una base fiscale stimata pari al 20% della popolazione, ha perso negli ultimi 40 anni 872 miliardi di dollari per colpa dell’evasione fiscale. Questa innovativa galleria d’arte potrebbe generare dell’entrate, se si pensa al possibile impiego delle opere nei musei di tutto il mondo. Senza considerare il beneficio sociale che è in grado di formare: gli artisti si sentono orgogliosi di contribuire con il loro lavoro alla creazione di uno spirito nazionale e di un movimento culturale che sia in grado di far vedere le tasse sotto una nuova luce.

Programmi con qualche somiglianza sono presenti anche in altri Paesi del mondo: nel Regno Unito dal 2012 è possibile per persone e imprese donare opere d’arte in cambio di una riduzione delle tasse sul reddito. Questo programma ha generato nel periodo 2012-2013 un risparmio per i contribuenti pari a 536.000 dollari. Se consideriamo che la cultura può essere una leva con cui rilanciare l’economia di un Paese, stimolando la produttività e la capacità di innovazione delle persone, sembra logico utilizzare una politica fiscale che sia in grado di incentivare le arti. Una politica fiscale “artistica”, quindi, come quelle appena viste, potrebbe essere un ottimo strumento per rilanciare l’economia di un Paese, salvaguardare il patrimonio artistico-culturale e lo spirito nazionale senza danneggiare la salute delle finanze pubbliche.