“Ci muoviamo a tempo di lancette , ma dovremmo fermarci a leggere versi. L’orologio trova la sua attendibilità in una società che intende il tempo esclusivamente come durata, determinando un’ansia che la poesia non conosce, ed è capace di stemperare.”
Da questa riflessione sulla moderna concezione del tempo nasce l’iniziativa di Tempi diVersi, un collettivo poetico attivo in tutta Milano, che intende riassegnare a questa pratica artistica quel pragmatismo creativo intrinseco nell’originaria etimologia del termine: poesia dal greco ποίησις, poiesis, ossia “creazione”.
Tempi diVersi opera nelle strade, nelle piazze, riconquistando quella “dimensione pubblica” in cui la poesia nasce, cresce e sopravvive, e dalla quale è rimasta esclusa per troppo tempo.
Parliamone con Paolo Cerruto, vincitore del Premio Ferranti 2009, del Premio Subway 2010 ed una delle anime poetiche da cui ha preso vita l’iniziativa di Tempi diVersi.
Tempi diVersi si definisce come un “collettivo poetico e artistico che abbraccia chi voglia valorizzare la parola e apprezzi l’interferenza di una poesia che sa far dimenticare lo scorrere del tempo, […] strappare spazi ai non luoghi e momenti al non tempo di quest’epoca”. In questo limbo a-dimensionale che caratterizza lo spazio d’azione della poesia, dove si inserisce l’iniziativa di Tempi diVersi?
Si inserisce appunto come un’interferenza. Leggere una poesia per strada o affiggerne una su un muro fornisce ad ogni passante la possibilità di ritagliarsi, in questa frenesia, un momento di ascolto, in cui si valorizza realmente il nostro essere umani, nella funzione sociale che si ha. Funzione che è sempre più in pericolo oggigiorno. Le piazze vengono vissute poco, forse solo i barboni le vivono con la giusta intensità e frequenza. Il milanese è sempre più chiuso in spazi privati. Lo spazio pubblico si è oramai tramutato in una sommatoria di spazi privati in cui il cittadino si rinchiude, e la comunicazione viene necessariamente a mancare. In più, la poesia che rimane chiusa in un cassetto od in un libro ammuffisce.
Dargli quindi una dimensione pubblica.
Si, e dargli aria.
In un tempo contraddistinto dal culto dell’immediatezza, dall’irrefrenabile necessità di una rapida realizzazione dei nostri bisogni – siano essi materiali o immateriali – è ancora possibile dedicare il proprio tempo alla riflessione, al dubbio, al ragionamento esistenziale, ossia a tutte quelle attività che compongono l’operare poetico?
E’ necessariamente difficile. Questo culto dell’immediatezza, che tu individui bene, si riscontra un po’ in tutti noi; nella nostra capacità di ascolto, che si è drasticamente ridotta, così come nel consumismo di parole e di articoli sul web. Più che una possibilità la vedo come una necessità quella di dilatare i tempi e ristabilire condizioni di quiete e di ascolto che favoriscano l’introspezione, l’arricchimento di sé, e, per transitività, degli altri e dell’ambiente che viviamo.
La poesia in questo senso può essere uno strumento utile?
Qualsiasi artista opera in una condizione di sfasatura rispetto alla propria epoca, rispetto alla sua persona, per cui riesce ad osservarla ed a osservarsi meglio. Il gesto del poeta è generoso in questo: non solo trasmette la propria riflessione, ma impone agli ascoltatori – o ai lettori – di ritagliarsi del tempo per la propria riflessione. I Poeti Der trullo lo dicono bene in versi: “Folle è il viandante/distratto dalla meta/non vedrà passare/la sua stella cometa”. Ci perdiamo in noi stessi e perdiamo tutto il resto che c’è intorno.
Qual è il ruolo che ha la poesia, intesa come intima espressione della nostra voce individuale, in una modernità dominata dalla comunicazione di massa, l’omogeneizzazione dei contributi ed il progressivo decadimento del significato?
La poesia ridà significato ad ogni singola parola che oggigiorno viene consumata e svilita dai social network, che, più in generale, sintetizzano forme e contenuti. L’Hashtag in questo senso è una semplificazione terribile. Un concetto lo puoi ridurre in tre parole con un cancelletto davanti. E lo stesso vale nell’informazione che tende sempre di più ad omologarsi, oltre che nelle fonti di produzione anche nella ricezione. Al contrario del giornalista il poeta non ha fretta ed è sempre sincero. Penso quindi alla poesia come un editoriale ben pensato ed autentico. Come diceva Saba, in un intervento dal titolo “Quello che resta da fare ai poeti” pubblicato su La Voce, “ai poeti resta da fare la poesia onesta”.
Com’è che la poesia è diventata un genere letterario sempre più specifico, che oramai desta l’interessa di una cerchia molto ristretta di appassionati, ed è costretta ad operare ai margini dello scenario artistico?
Da una parte c’è sicuramente una responsabilità dei poeti che naturalmente tendono all’emarginazione. Ed è proprio coltivando questo loro ritiro, che hanno perso la propria dimensione pubblica. Dall’altra esiste una tendenza a livello scolastico ed educativo che rende la poesia un materiale di studio ostico per i giovani fruitori – tutti potenziali poeti. Più in generale identifico una propensione a non riconoscere il proprio ruolo di poeti – potenzialmente tutti lo siamo quando apriamo bocca – dal momento che essere poeti significa essere condannati alla libertà. E non è detto che la gente voglia essere libera. La libertà spaventa. E’ meno doloroso dedicarsi all’arte figurativa, al romanzo rosa, o al cinema. Cose che ti spengono un po’ più la testa e ti fanno pensare un po’ meno. Il successo della tivù è dato da questo, da una diffuso spavento nel pensare. La responsabilità di questo declino è quindi bilaterale. Accuserei sia la domanda sia l’offerta, a dirla da economisti.
Tempi diVersi intende “condividere, animare e creare nuove aspettative per ciò che riguarda la poesia e l’arte di strada come veicoli basilari per la sopravvivenza culturale della città, confidando in tempi diversi”. Possiamo dire che a questa fede nel cambiamento dei tempi, si stia sostituendo, anche grazie ad iniziative come le vostre, la consapevolezza che un reale cambiamento è attualmente in atto?
Si indubbiamente. La nostra fiducia sta nell’azione. In quest’epoca in cui le più grandi rivoluzioni, i più grandi “tempi diversi” si sono risolti nel fallimento, la chiave del cambiamento deve necessariamente passare per l’individuo. Questo è lo spirito quando dico “non guardate sky, uscite a guardare il cielo”. Rivediamoci per strada, le strade parlano di noi, ci rappresentano, e lì magari riusciamo anche a capirci meglio. In questo senso stiamo preparando anche un’iniziativa editoriale. Considerando che nessun editore punta più sulla poesia, abbiamo deciso di proporre questo progetto editoriale, in cui si pubblicheranno autori esordienti grazie agli introiti derivanti dagli eventi. Vogliamo scommettere sulla voce del singolo poeta.