Che l’Ape sia diventato quasi uno status symbol per vecchi contadini, panettieri, e garzoni di paese è noto a tutti, ma com’è nato il mitico treruote? La sua storia è iniziata proprio quando quegli stessi “vecchietti” che oggi la guidano con fierezza, probabilmente, erano ragazzi. Correvano gli anni Cinquanta, infatti, quando l’Apecar cominciava a legarsi indissolubilmente all’immagine dei divi di Hollywood. Capri, Ischia e Portofino erano le mete più gettonate tra le famose e promettenti star d’Oltreoceano, e i telegiornali in bianco e nero trasmettevano frammenti di attori intenti a caricare pesanti valigie sull’Ape rossa targata “NA”.
Nato nel 1948, il famoso treruote, ideato per usi commerciali, divenne immediatamente la soluzione ideale per il trasporto di persone: il boom di vendite fu subito impressionante. In pochi ann,i le strade del Belpaese, dove già iniziavano a circolare le prime Vespe Piaggio, si costellarono di Api: più adatte al lavoro rispetto alle due ruote e meno costose di qualsiasi macchina, nonché facilmente riparabili con rimedi casalinghi, si proposero subito sul mercato con tutte le carte in regola per entrare nella storia. D’altro canto, non si può parlare del marchio Piaggio senza associarlo a storiche imprese: era il 1998 quando 2 Ape TM attraversarono ben 19 Paesi facendo più di 25mila chilometri di strada, ripercorrendo un abbraccio tra Occidente ed Oriente in un tandem che dura ancora oggi. Notevole è anche la strada percorsa dal veicolo commerciale nel mondo del cinema. Come dimenticarsi, in “Mamma Roma”, la bellissima Anna Magnani intenta a vendere verdura sul retro di un Vespacar, o più tardi, in pieni anni Ottanta, l’inimitabile Abatantuono, che con goffa maestria rifornisce con un’Ape rossa tutti i fruttivendoli di Milano.
Non c’è che dire, i treruote hanno sicuramente fatto un’epoca. Recentemente, tuttavia, il gruppo Piaggio ha stabilito di cessare la produzione di Ape, per lo meno in Italia: la storia dell’Ape è davvero destinata a finire? A livello europeo, il mercato dei veicoli commerciali leggeri, in cui opera il gruppo Piaggio, si trova in importanti difficoltà: in soli 2 anni ha registrato infatti una flessione pari al 13,3% del fatturato e l’accanita concorrenza dei competitors stranieri non ha fatto altro che ridurre ancor più il mercato degli storici, classici treruote. Il gruppo però, nonostante la battuta d’arresto europea, non si sta arrendendo: vediamo infatti un ottimo posizionamento sul mercato indiano, che in un anno è passato da 525.800 a 532.200 unità, con un incremento dell’1,2%. Oltre al tradizionale mercato delle tre ruote, troviamo il nuovo settore del light commercial vehicle (LCV), in cui si è lanciata la Piaggio Vehicles Private Limited, con le 2 “neo” Api: Apé Truk e Apé Mini.
Una cosa il gruppo Piaggio l’ha capita bene: i mercati asiatici rappresentano proprio l’opportunità perfetta per continuare a produrre senza subire passivamente la crisi del panorama europeo e riuscire a finanziare e sostenere innovazione e ricerca, da sempre chiavi del successo. Per quanto riguarda questo aspetto, infatti, vediamo che le radici rimangono ben salde nel territorio italiano: Piaggio è infatti collegata ad una rete di laboratori e centri di ricerca universitari e privati appartenenti alle più avanzate realtà nei diversi settori di specializzazione. Tra le cooperazioni vediamo diverse Università, tra cui quelle di Pisa, Firenze, Perugia, Bologna, Graz, il Politecnico di Milano e il Centro Ricerche Fiat. Sul piano tecnologico il gruppo è fortemente orientato allo sviluppo “green”: i laboratori di ricerca si stanno infatti occupando di nuovi motori termici a basso impatto ambientale e ridotti consumi. Punta di diamante della R&S sono le motorizzazioni elettriche di nuova generazione ed i propulsori ibridi.
Le idee sono promettenti, proprio come lo è la crescita dei mercati orientali in cui il brand italiano è riuscito a inserirsi con sguardo lungimirante: in un attimo, storie e nostalgie di epoche ormai sbiadite, di stradine di campagna e lavori d’artigianato, si uniscono all’oggi, al futuro, sussurrando che forse, dopo 65 anni di onorato servizio, l’Ape non ha ancora finito di dire la sua.
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