La maggior parte dei media occidentali ha dato grande spazio al ruolo dei social network come elemento cruciale per comprendere il fenomeno “Primavera araba”. Al netto di affermazioni idealistiche a riguardo delle nuove tecnologie come strumenti intrinsecamente democratici, bisogna porsi una domanda precisa: quale importanza politica hanno avuto questi mezzi di comunicazione nelle rivolte scoppiate in Tunisia nei primi mesi del 2011?
Nel mondo musulmano, i social network hanno permesso l’apertura di nuovi spazi informativi capaci di mettere in crisi le dittature, non più in grado di controllare in maniera unitaria la propaganda interna. Il sapere è divenuto più ampio, meno controllabile e formalizzato, garantendo la condivisione di video, testi e foto che non sarebbero mai venuti alla luce, soffocati dalla censura degli organi d’informazione istituzionali dei regimi.
La partecipazione massiccia e il sostegno alla causa nati sui social network hanno certamente provato un effettivo e concreto coinvolgimento di chi anche non poteva essere materialmente vicino. La possibilità era immediata, a portata di click, ma l’assenza di strutture e gerarchie ha impedito la crescita di un reale piano operativo nel lungo periodo. Dopo la felice risoluzione della battaglia contro i despoti, lo spettacolo offerto è infatti quello di un gran bazar disorganico dove i manifestanti non riescono a trovare nessun tipo di unità. Il risultato è uno smarrimento politico totale.
Un altro problema da tenere in considerazione quando si tocca l’argomento dei social network è valutare quale sia la loro reale rappresentatività nei Paesi toccati dalle rivolte. L’Arab Social Media Report, centro di studio della Dubai School of Government, propone a tal proposito una serie di dati molto significativi.
Il numero complessivo di utenti Facebook nella regione, quando sono divampate le proteste, era di circa 28 milioni di persone. Le ultime rilevazioni, effettuate nel maggio 2013, parlano di circa 54 milioni di persone iscritte a Facebook. La penetrazione totale del social network nella regione è giunta al 19%, in crescita rispetto al 12% segnalato nel giugno 2012. L’estensione maggiore si ha negli Emirati Arabi Uniti, che precedono la Giordania, il Libano, il Qatar e la Tunisia, mentre l’Egitto registra più di un quarto dei contatti Facebook presenti nell’intera regione. La breve rassegna di cifre evidenzia una forte crescita di contatti e di frequenza d’uso rispetto agli inizi delle proteste. Nonostante l’aumento di utenti, si nota però una rappresentatività relativa, con cifre che impallidiscono al cospetto della somma dei soli cittadini egiziani, circa 80 milioni di persone.
In conclusione, nel contesto di regimi ormai al di fuori della realtà, possiamo affermare che i nuovi strumenti comunicativi hanno permesso al malcontento, covato da anni, di esplodere più facilmente. Twitter e Facebook, così centrali nel progresso identificativo occidentale, sono stati estremamente efficaci nel consolidare un sostegno globale alle rivolte e nel diffondere notizie e aggiornamenti. Per ottenere cambiamenti democratici, tuttavia, è necessaria, in un quadro generale favorevole, l’attività pratica di persone che dirigano le operazioni, prima e dopo la battaglia per la libertà. I social network, come dimostrano i numeri sopracitati, da soli non bastano.
Photo credit- AhmadHammoud / Foter / CC BY