“La Tribù dei Fantasmi” in Tanzania: Macelleria Tra Orrore e Pregiudizio

Alcuni credono che siano dei fantasmi non morti. Altri che siano colpiti da una misteriosa maledizione. I pescatori sono convinti che una ciocca dei loro capelli, posta all’interno della rete, sia propizia ad una buona battuta di pesca. I minatori credono che le loro ossa, sepolte sotto terra, si trasformino magicamente in diamanti. Gli sciamani esperti nel ‘muti’, la medicina assassina, fanno uso dei loro genitali per trattamenti che aumentano la potenza sessuale e per la preparazione di altri macabri rimedi curativi.

Nascere albino in Tanzania equivale sostanzialmente a una sentenza di morte, o a una vita passata a nascondersi per paura di essere braccati, allo stesso modo delle specie di animali a rischio di estinzione. Dal 2006, almeno 70 persone prive della pigmentazione della pelle, dei capelli e degli occhi caratteristiche della popolazione Africana sono state uccise, e altre 30 aggredite. Si ritiene che questa anomalia genetica abbia avuto origine proprio in questa nazione dell’Africa orientale. Oggi, ne è portatore 1 su 1.400 tanzaniani, a fronte di una percentuale mondiale di 1 su 20.000.

Nel tentativo di arginare la macelleria, molti dei 17.000 albini che ancora vivono in Tanzania vengono nascosti dal governo in rifugi creati appositamente.

“Morte senza colore”, Fotografia di Jacquelyn Martin, AP

Madre figlia albina

Bestida Salvatory, con il figlio Ezekiel di un anno e mezzo di età, riabbraccia la figlia diciassettenne Angel al Kabanga Protectorate Center. Angel, affetta da un cancro della pelle, è stata costretta ad abbandonare la propria casa quattro anni fa, in seguito all’aver subito un’aggressione da un gruppo di uomini guidati dal suo stesso padre.

“Rifugio sicuro”, Fotografia di Jacquelyn Martin, AP

Kabanga Protectorate Center

Nell’affollato dormitorio del Kabanga Protectorate Center i bambini albini sotto tutela governativa giocano tra le zanzariere. Il rifugio funziona come una sorta di collegio protetto da spesse mura per difenderli dalle mire di cacciatori e sciamani. Fisicamente al sicuro, le prospettive sul futuro per questi bambini albini rimangono incerte.

“Un’educazione difficile”, Fotografia di Jacquelyn Martin, AP

Bambina albina tanzania

Zawia Kassim, una studentessa dodicenne della Kabanga Primary School, aspira un giorno di diventare maestra. Gli albini tanzanesi in genere frequentano solo le scuole primarie, e in alcune comunità dove vengono ritenuti mentalmente ritardati non hanno neanche questa possibilità. L’abbassamento della vista e la consecutive difficoltà nella lettura, caratteristiche degli albini, scoraggiano spesso coloro che intendono ricevere un’istruzione. Per questi motivi molti di loro crescono analfabeti e vengono impiegati nello svolgimento di lavori manuali.

“Un uomo coraggioso”, Fotografia di Jacquelyn Martin, AP

ragazzo albino

Maajabu Boaz, ventenne albino davanti alla sua casa a Nengo, affila le proprie armi. Maajabu, che in lingua swahili significa  “miracolo”, si è rifiutato di abbandonare il suo villaggio natale per essere ospitato in uno dei centri di rifugio. Nonostante le ripetute aggressioni ad albini registrate nel suo villaggio, la feroce reputazione di Maajabu lo ha protetto fino ad ora.

Secondo una stima dell’ International Federation for the Red Cross and Crescent Societies, almeno 10.000 albini in Africa orientale vivono nascosti o sono profughi.

“L’orribile mercato”, Fotografia di Marcus Bleasdale, VII/Corbis

mercato di Mgusu

Alcuni ambulanti vendono le proprie “medicine” al mercato di Mgusu. In Tanzania, paese in cui il reddito pro capite nel 2010 è stato calcolato all’incirca sui 442 dollari, l’arto di un individuo albino può essere venduto per cifre che raggiungono i 2.000 dollari, mentre un “set” completo di orecchie, lingua, naso, genitali e arti può valere fino 75.000 dollari. Il drammatico livello di povertà prevalente nel paese, e i guadagni incredibilmente alti derivati dalla compravendita di questi “orrori”, non facilitano la risoluzione del problema.

“Difendersi dalla luce”, Fotografia di Jacquelyn Martin, AP

ragazza albina tanzania

Angel Salvatory, affetta dal cancro alla pelle, compra degli abiti al mercato del villaggio di Kabanga. Oltre a doversi proteggere dalle ricorrenti aggressioni, gli albini tanzanesi devono trovare costantemente riparo anche dai raggi del sole, essendo molto vulnerabili a ustioni e al cancro alla pelle.

“Famiglie divise”, Fotografia di Jacquelyn Martin, AP

bambina albina tanzania

Al Kabanga Protectorate Center, Lightness Philbert trasporta sulla schiena all’interno della tradizionale sacca Jessica, tre mesi. La neonata albina è arrivata  al centro portata dalla stessa madre, Helen Sekalima, dopo aver ricevuto minaccie di violenza da parte degli abitanti del proprio villaggio. L’albinismo tende inevitabilmente a dividere molte famiglie tanzanesi. Alcuni bambini albini, come Lightness, arrivano al centro consapevoli che non rivedranno mai più i propri genitori. Altri vengono coraggiosamente allevati dalle madri, abbandonate dai mariti con l’accusa di aver avuto rapporti con uomini bianchi.

“Stupri e omicidi”, Fotografia di Jacquelyn Martin, AP

bambini albini tanzanesi giocano

Ferista Daudi (sulla destra) corre inconsapevole nelle aree sicure predisposte dal Kabanga Protectorate Center. La bambina, 2 anni, è stata costretta a lasciare il proprio villaggio dopo che uno sciamano le ha ucciso la sorella per prendere parti del suo corpo. Un altro orrore che piaga la condizione delle donne albine è lo stupro. Soprattutto nel nordovest del paese, queste ragazze vengono aggredite da uomini che credono che avere rapporti con loro guarisca dall’AIDS.

“Amore”, Fotografia di Jacquelyn Martin, AP

bambina albina tanzania

Jessica trova ripardo tra le braccia della madre Helen, in seguito ad una visita al Kabanga Protectorate Center. Ben tre dei nove figli di Helen sono albini. “La gente del mio villaggio non è normale, sono diavoli”, ha commentato la donna.