C’è una guerra che non fa rumore. Un conflitto che non si serve di colpi di mortaio, spari o missili, ma che miete nel silenzio ogni giorno centinaia di vittime, la maggior parte delle quali sono bambini. E’ la guerra dell’acqua, da sempre simbolo di vita e fertilità, oggi trasformata, per colpa delle nuove strategie belliche mediorientali, in un’arma volta a indebolire e controllare una popolazione oramai allo stremo delle forze.
L’area geografica coinvolta è quella del Vicino Oriente, situata tra i fiumi Tigri ed Eufrate, un tempo culla delle civiltà mesopotamiche, oggi scenario di sanguinosi conflitti tra i confini siriani, turchi e iracheni. Un territorio arido soggetto a siccità, che negli ultimi anni ha visto l’acqua che scorre nei letti dei due fiumi diventare prima obiettivo e poi strumento di tattiche e strategie di guerra. In queste zone il controllo di fiumi, depuratori, desalinatori e bacini idrici è diventato presto sinonimo di detenzione del potere.
Gli esperti ne sono certi: la crisi mediorientale si risolverà in favore di chi sarà capace di entrare in possesso di buona parte delle risorse idriche presenti sul territorio. Chi sembra averlo capito già da tempo è l’Isis, un gruppo di terroristi sunniti dello stato islamico, noto alle cronache internazionali per l’inarrestabile marcia jihadista alla conquista dell’Iraq. “Hanno già ottenuto il controllo dei territori settentrionali, tra cui la diga Samarra sul Tigri, e se dovessero conquistare anche la diga Mosul e la diga Haditha sull’Eufrate, per Baghdad sarà la fine”, afferma Michael Stephens, vice direttore del Royal United Services Institute.