Le 10 Canzoni Che Hanno Reso Grande Miles Davis

Ottantotto anni fa nasceva Miles Davis (26 maggio 1926 – 28 settembre 1991), compositore e trombettista jazz statunitense, considerato uno dei più influenti ed innovativi musicisti del XX secolo.

Dopo aver iniziato il proprio apprendistato “bebop” al fianco di Charlie Parker, il talento poliedrico di Davis lo condusse a registrare dei pezzi “orchestrali” con Gil Evans, a lavorare con John Coltrane, a sviluppare un unico sound jazz elettrico, e, durante gli anni ’80 e l’inizio dei ’90, perfino a trascendere nel pop.

Miles Davis fu e resta famoso sia come strumentista dalle sonorità inconfondibilmente languide e melodiche, sia per il suo atteggiamento innovatore, sia per la sua figura di personaggio pubblico. Inoltre fu uno dei pochi jazzmen in grado di realizzare, anche commercialmente, il proprio potenziale artistico e forse l’ultimo ad avere anche un profilo di star dell’industria musicale. A conferma della sua personalità artistica fu la sua (postuma) ammissione, nel marzo 2006, alla Rock and Roll Hall of Fame.

In questa giornata Aol Radio ci propone la lista delle 10 canzoni che hanno reso indelebile nella storia della musica Jazz l’icona di Miles Davis. Buon Ascolto.

10. “Tutu”

Scritta dal bassista Marcu Miller, questa canzone che da anche il titolo all’album del 1986 può essere considerata una degli ultimi capolavori del “principe delle tenebre”. La produzione e l’arrangiamento, come gran parte del materiale prodotto da Davis negli anni ’80, suona come una versione avanzata della musica di Michael Jackson. Diversamente dai prodotti del “Re del Pop”, il suono kitsch dei sintetizzatori e della ‘drum machine’ non possono mettere in ombra l’eleganza del pezzo scritto da Miles Davis.

9. “Black Satin”

Registrata nel 1972 e pubblicata nell’album “On the Corner” del 1973, “Black Satin” è uno dei brani più ammalianti di uno dei suoi album più funky. Il “rock-fusion” degli album precedenti lascia spazio ad un funk “sporco”, uno stile acquisito da Davis nel tentativo di ristabilire un contatto con il giovane pubblico Afroamericano. Inizialmente incompreso, quest’album è stato rivalutato come un classico che ha saputo influenzare le successive generazioni di musicisti jazz, funk e groove. Relativamente “concisa” nei suoi cinque minuti, “Black Satin” ci regala uno dei momenti più lirici di tutto l’album.

8. “Spanish Key”

Universalmente riconosciuto come l’album in cui Miles si dette “all’elettrico”, “Bitches Brew” è uno dei primi punti di riferimento del “jazz-rock fusion”, principalmente grazie all’incessante impulso “funky” di “Spanish Key”. Con il contributo di Herbie Hancock, e del chitarrista John McLaughlin, questo brano di diciassette minuti e mezzo è un pezzo ricco di dettagli che ruota attorno ad un ritmo funky. La performance di Davis è qui una delle più energiche che mai sentiremo.

7. “Seven Steps to Heaven”

Registrata nel periodo di transizione da il suo primo grande quintetto con John Coltrane ed il secondo con Wayne Shorter, “Seven Steps to Heaven” del 1963 fu scritta da Davis ed il pianista Victor Feldman (che, ironia della sorte, fu sostituito proprio da Herbie Hancock al momento in cui la versione classica di questa canzone fu registrata). La melodia sincopata è un classico immediatamente riconoscibile e una delle canzoni più amate del trombettista.

6. “Milestones”

Registrata nel 1958, “Milestones” e l’album omonimo costituirono una svolta per Miles Davis ed il suo sestetto. E’ proprio qui che il gruppo abbraccia per la prima volta l’apporccio modale che poi sarà perfezionato l’anno successivo con la registrazione di “Kind of Blue”. John Coltrane è particolarmente brillante, passando dallo stile blues-bebop dei suoi lavori degli anni ’50 a quello del suono “di ricerca” che caratterizzera i suoi principali lavori a partire dagli anni ’60.

5. “Footprints”

Composta dal sassofonista Wayne Shorter, “Footprints” ci propone il secondo grande quintetto di Davis all’apice del suo potere. La gola di Davis è preponderante in questa bellissima canzone, accompagnata dalla batteria di Tony Williams, dal basso di Carter e dal pianista Herbie Hancock. Sebbene Coltrane avesse già raggiunto il suo momento avanguardista al tempo, il gruppo intero gioca su un genere di jazz abbastanza aperto, che dal punto di vista sonoro si allinea con il modale ed il bop.

4. “Doxy”

Miles Davis è sempre stato conosciuto per i “sideman” di cui si circondava, ma lui stesso si sorpassa in questa registrazione del 1954 che include il Modern Jazz Quartet, Thelonious Monk o Horace Silver e Sonny Rollins. Composta da Rollins, questo brano possiede un lento groove intriso di blues grazie alla meravigliosa sezione ritmica. Ascoltiamo come Silver contribuisce con un leggero accompagnamento armonico al piano mentre Rollins e Davis lavorano sulla melodia come fossero una cosa sola. “Doxy” è Davis al suo picco nella transizione dal bebop al jazz modale.

3. “Boplicity”

C’è un po’ di mistero sul perché ci sono voluti ben sei anni per rilasciare “Birth of the Cool”, che era stato registrato in due sessioni nel 1949 e nel 1950. Nonostante ciò, l’album mostra come Davis si staccò dall’energetico bebop del suo mentore Charlie Parker nel tentativo di produrre qualcosa di più evocativo e dolce, usando un nonetto con tuba e corno francese. Arrangiata dal grande Gil Evans, “Boplicity” è caratterizzara dai corti assoli di Davis e del baritono Gerry Mulligan.

2. “Round Midnight”

Non molti sono riusciti nel tentativo di migliorare il classico di Thelonious Monk “Round Midnight”, ma, in questo caso, Davis può sicuramente dire la sua. Qui Davis debutta con il corno muto, la sua firma personale che userà poi per il resto della sua vita, lasciando il tono più morbido e melanconico del corno. John Coltrane ha contribuito a questo brano, costruendo un assolo perfettamente antitetico al suono melodico e raffinato di Davis.

1. “So What”

Il brano di apertura dell’album riferimento “Kind of Blue”, “So What” è uno di quei brani jazz di cui è sufficiente ascoltare le prime poche note del pianista Bill Evans per essere stimolati a fischiettare o a schioccare le dita al ritmo della linea di basso di Paul Chambers. Questa canzone  lancia il proprio incantesimo sull’ascoltatore, in cui il ritmo rilassato di Davis e Evans cela un fuoco latente che divampa solo quando Coltrane e Julian “Cannonball” Adderley entrano con i loro assoli. Dite Jazz, e questo è il sound che la maggior parte della gente avrà in testa.