L’Economia Mondiale è Sempre più Politicizzata?

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Secondo Ray Dalio, leggendario manager di Bridgewater Associates, uno dei vettori fondamentali del ciclo economico è l’espansione della base monetaria: quanto le banche centrali stampano moneta e decidono di prestarla a tassi ridicoli alla popolazione, permettendo (in teoria) di aumentare la produttività. E proprio in questi giorni, al Fondo Monetario Internazionale (FMI) a Washington si stanno riunendo i rappresentanti finanziari dei paesi membri, dopo un susseguirsi di debacle da parte degli istituti centrali bancari nel mese scorso.

In Giappone hanno annunciato il Quantitative and Qualitative Easing (QQE), come ultimo tentativo per stimolare un’inflazione che sembra non arrivare mai, tenendo i tassi decennali fissi con una rendita pari a 0%.

In Europa la Banca Centrale Europea (BCE) ha tentato di mettere in guardia i mercati, e Bazooka Mario Draghi (“We’ll do whatever we can”, ipse dixit) ha detto che presto il QE potrebbe volgere al termine. Facile immaginare la conseguenza disastrosa sui paesi periferici Europei in uno scenario di tapering, persino per uno dei piu’ virtuosi, l’Italia: il rapporto istat pubblicato settimana scorsa afferma un tasso di disoccupazione stabile all’11.14% e una disoccupazione giovanile intorno al 35% (in miglioramento). Eppure sul mercato, l’Italia ha appena emesso un bond governativo con scadenza tra 50 anni per 5 miliardi di euro (le domande di sottoscrizione hanno raggiunto 18 miliardi, prezzato al 2.85% di rendimento annuo), travisando ogni rischio politico o legato all’incremento dei tassi. Allo stesso tempo invece lo spread BTP-BUND si bond a 10 anni sta aumentando in questi giorni a causa del dibattito sul Referendum Costituzionale, come segno di nervosismo sulle sorti della governabilità italiana.

In America, una FED sempre piu’ politicizzata in favore della candidata democratica Clinton, ha rimandato il rialzo dei tassi alla prossima riunione di dicembre, in maniera ingiustificata da un punto di vista economico: con un’inflazione (senza contare il costo dell’energia e del cibo) ben sopra al 2% e una creazione di lavori abbastanza stabile (seppur con i part-time in crescita), Yellen & Co. ha deciso di non pronunciarsi per godersi lo show business delle presidenziali americane.

Queste manovre pero’ falliscono di incidere positivamente sull’economia reale, favorendo l’accumulo di denaro nelle tasche di pochi (tramite il credito volto al consumismo) e l’incitazione al disordine sociale che nutre appetito per il populismo e il nazionalismo. La politica degli stati fallisce di produrre riforme strutturali, aspettando oziosamente di poter sgomitare in un periodo di espansione fiscale, dove il governo eccede i limiti di stabilità sul bilancio per sopperire al perduto sostentamento sociale. In questi deboli anni di crescita economica in Europa, il diktat germano-centrico non è riuscito ancora ad ispirare un modello politico sostenibile: dall’austerity, alle regole sul bail-in e il tracollo di Deutsche Bank, Unicredit e Monte dei Paschi di Siena (in mano agli americani di JP Morgan), a una politica estera senza un’anima riguardo l’immigrazione, o semplicemente ignara del suo collocamento nei confronti della Turchia e della Russia sullo scacchiere internazionale, per esempio. L’Unione Europea è posta sotto stress da trend secolari quali il rallentamento della popolazione e la deflazione.

Sempre nella Germania dell’Est, secondo il quotidiano economico Handelsblatt agiscono gruppi xenofobi e populisti, che attaccano strutture di accoglienza verso gli immigrati, riportando un aumento dell’odio verso lo straniero. Gli altri giganti Europei, Francia e Italia, non fanno eccezione; gli inglesi hanno semplicemente individuato prima il problema alla fonte con Brexit, in anticipo come sempre con una marcia avanti rispetto alle altre nazioni.

In questa situazione di calma apparente dunque, i mercati finanziari vengono influenzati dalla percezione di eventi politicizzati, quali la riunione dell’OPEC o del FMI a Washington, nel nostro caso sottovalutando gli ostacoli strutturali presenti nella mancanza di crescita economica produttiva che causano tra l’altro l’annientamento della classe media. L’FMI stesso ha riconosciuto ieri il risentimento crescente verso la globalizzazione anche negli Stati Uniti, revisionando al ribasso le stime di crescita per gli USAS all’1.6%. Sia nel mondo geopolitico che quello finanziario quindi, un basso livello di incertezza sociale sembra essere il fattore preponderante per la fiducia degli investitori, che tuttavia non viene rincarata dai governi in giro per il mondo che alimentano un vero e proprio campo minato da bolle finanziarie e sentimento populista.