L’Economia Russa negli Anni di Yeltsin (1991 – 1999)

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Una volta avuta la meglio nel 1991 sul Putsch di agosto, Boris Yeltsin fu in grado di mettere mano liberamente alle numerose e gravose questioni che all’epoca affliggevano la neonata Federazione russa, tra cui una situazione economica che stava sempre più virando al peggio: il pil nel 1990 segnò un – 3%, divenuto un disastroso – 12% nel 1991, la disoccupazione nel 1991 toccò un picco del 12%, il reddito calò del 10%, i prezzi all’ingrosso salirono del 138% mentre quelli al dettaglio del 90%, il deficit di bilancio raggiunse il 26% del pil, le esportazioni in dollari crollarono del 40%. In crescita era anche il debito estero russo, crescita aggravata dal fatto che non vi fossero grandi riserve di dollari nel paese.

Yeltsin aveva pochi dubbi sulla ricetta da applicare per uscire dalla grave crisi economica russa: smantellare integralmente l’economia pianificata per sostituirla in tempi estremamente brevi con un sistema basato sulla proprietà privata e sul libero mercato, ricetta da attuare con una terapia shock. A tal fine, il primo ministro della Federazione russa Egor Gajdar diede inizio nel 1992 alle privatizzazioni di massa di quello che restava dell’apparato economico sovietico mettendo contemporaneamente in atto una drastica manovra di stabilizzazione macroeconomica, allontanando dal governo gli economisti più moderati. Secondo Gajdar, per passare con successo da un’economia pianificata a una di mercato le trasformazioni devono essere rapide ed incisive, pena il fallimento del programma di riforme. Necessario era sia creare ex novo una classe imprenditoriale sia stabilizzare l’economia. Sempre nel 1992 vennero liberalizzati l’80% dei prezzi alla produzione e il 90% dei prezzi al dettaglio, il commercio estero venne anch’esso liberalizzato con l’imposizione di un’aliquota fissa del 5% e con la cancellazione dei controlli quantitativi sull’importazione. Tali politiche di liberalizzazione avrebbero dovuto accompagnarsi con una politica fiscale e monetaria restrittiva, politica che però il governo russo non poteva mettere in atto non esistendo ancora una moneta unicamente russa (il rublo sovietico, all’epoca in circolo, veniva emesso anche dalle Banche centrali delle altre repubbliche ex sovietiche), di conseguenza la Banca centrale in quel periodo attuò una politica monetaria espansiva, con risultati estremamente negativi sull’economia russa. Il collasso generale delle strutture statali ex sovietiche era ben visto dagli economisti di governo, tutti di tendenza liberista, ignari però che un apparato statale così debilitato sarebbe stato un grosso ostacolo ai loro progetti di riforma.

Gli effetti delle riforme di Yeltsin al 1992 furono disastrosi: il pil crollò del 14%, il deficit arrivò al 6% del pil, l’inflazione toccò un picco del 2500% e la produzione industriale diminuì del 25%. Gajdar fu costretto a dimettersi a dicembre, e al suo posto subentrò Viktor Chernomyrdin. Nel frattempo, la privatizzazione proseguì spedita e dal 1992 al 1994 vennero privatizzate il 90% delle piccole imprese e il 70% di quelle grandi. Nell’inverno del 1992 per ogni cittadino russo venne emanato un voucher del valore di 10.000 rubli per poter acquistare le azioni delle imprese russe privatizzate. Alla fine però le privatizzazioni dell’era Yeltsin concentrarono la proprietà nelle mani di strutture finanziarie create appositamente e dei direttori di fabbrica (i c.d. “direttori rossi”). Dalle riforme nacquero due figure di imprenditori, una composta dai vecchi dirigenti dell’apparato pubblico sovietico, e un’altra da impresari che investirono soprattutto nel terziario. Queste due figure giunsero ben presto ad una spartizione del potere e ad una sostanziale collaborazione, che venne “ufficializzata” nel 1995 quando il governo approvò un accordo che gli fece cedere a titolo di pegno ad alcune banche delle azioni strategiche (prevalentemente del settore minerario ed energetico) in cambio di dei prestiti, accordo che prevedeva che se tali prestiti non fossero stati restituiti entro il settembre del 1996 il governo avrebbe ceduto definitivamente tali azioni alle banche. Fu così che le risorse minerarie ed energetiche russe passarono di proprietà delle banche per delle cifre irrisorie. Le ricchezze nate da questa operazione diedero vita alla casta degli oligarchi, che nel 1996 si accordarono per sostenere la campagna elettorale di Yeltsin. Mentre pochi si arricchivano, la maggior parte dei russi vide un netto peggioramento delle proprie condizioni di vita: la disoccupazione nel 1996 riguardò il 10% della popolazione, mentre il pil rimase al – 3%, nel contesto di un’inflazione che disintegrava i risparmi dei cittadini (nel 1996 era al 22%). Al 1995 il 39% dei russi viveva sotto il livello di povertà, dai 2 milioni del 1988 i poveri passarono a essere 57 milioni appena sette anni più tardi. Inoltre, la distribuzione del reddito si alterò al punto da rendere la Russia degli anni Novanta uno dei paesi col maggior tasso di disuguaglianza. Nel 1994 l’aspettativa di vita alla nascita era scesa a 64 anni. Dopo il 1996 in Russia fece la sua comparsa il baratto, che in Europa non si vedeva in modo così massiccio dal crollo dell’Impero romano.

Nel 1998 il paese venne colpito da una grave crisi finanziaria che segnò definitivamente il fallimento delle riforme di Yeltsin, provocata dalla crisi economica delle tigri asiatiche e dal crollo del prezzo del petrolio che a sua volta innescò una brusca diminuzione dell’entrata di valuta straniera in Russia, causando difficoltà nel tasso di cambio. Il debito statale, finanziato da titoli di Stato a breve termine, divenne presto insostenibile a causa del tasso di interesse sempre più alto, mentre l’inflazione nel 1998 salì all’84%. I sussidi pubblici all’agricoltura crollarono dell’80% nel corso dell’anno. Ad agosto venne svalutato il rublo e dichiarato il default sul debito interno, oltre che una moratoria di 90 giorni su quello estero. Nel 1999, al termine della presidenza di Yeltsin, il 40% dei russi viveva sotto il livello di povertà, il 12% era disoccupato, e la criminalità e il tasso di omicidi erano decisamente peggiorati.