Il gap che ci separa dagli altri Paesi UE in tutti i campi è risaputo, in particolare nelle politiche culturali. Il recupero della distanza culturale passa inevitabilmente attraverso i libri e la lettura. Non una cosa da poco, considerato che viviamo nel Paese in cui un ministro disse, tempo fa, che “con la cultura non si mangia affatto”.
Per fare il punto della situazione occorre avere chiari i cosiddetti “indici di lettura”, parametri statistici che consentono di porre in relazione questo fenomeno con i livelli di istruzione complessivi. Analizzando i vari report di settore colpisce un primo dato allarmante: più della metà degli italiani non prende mai un libro tra le mani (lo fa solo il 46%). Ma se leggere un libro all’anno non basta a qualificarsi lettori, dobbiamo sottrarre dal dato precedente circa la metà: il 20,7% è infatti la percentuale dei “lettori occasionali”, chi dichiara di leggere meno di tre libri all’anno. I coraggiosi che leggono più di 12 libri all’anno rappresentano solo il 6,3% della popolazione, circa 14 milioni di individui. Ironia vuole che l’Istat rilevi attraverso autodichiarazioni il dato di chi ha letto anche un solo libro nell’arco dell’anno!
Non va molto meglio per quanto riguarda la lettura dei giornali: il 52,1% della popolazione italiana li legge almeno una volta alla settimana e solo il 36,7% li legge con regolarità (5 o più volte nell’arco della settimana). Le ragioni di indici così bassi si intrecciano in aspetti culturali, sociali, ambientali ed economici che contraddistinguono i cittadini nelle loro storie personali. Interessa quindi poco in questo articolo indagarne le cause profonde. Il tasso di scolarizzazione, ad esempio, spiega male il fenomeno: il 18,9% dei nostri concittadini laureati e il 41,6% dei diplomati dichiara all’Istat di non aver letto neppure un libro nel tempo libero, a dimostrazione che non basta saper leggere per diventare lettori.
Da queste peculiarità dei lettori italiani (e dal loro numero) deriva un mercato librario sostanzialmente debole pur riguardando 2200 editori e fatturando oltre 3 miliardi di euro. Le case editrici hanno fatto leva su lettori forti di cui si conoscono le abitudini e la consistenza e sull’ampliare il numero di titoli piuttosto che spingere la promozione della lettura e allargarne così la sua base sociale, operazione molto più vantaggiosa. Tale dipendenza da un pubblico noto nelle sue preferenze acuisce la crisi che stiamo attraversando e spezza il comportamento anticiclico dei lettori più accaniti che fino a pochi anni prima continuavano ad acquistare e leggere anche quando gli altri consumi si contraevano.
Il peso degli e-book e di nuove forme di pubblicazione, come il self publishing e il print on demand è ininfluente, rappresentando una quota inferiore all’1% delle vendite totali di mercato (su questo punto l’Italia è molto in ritardo rispetto agli altri Paesi). Sicuramente a incidere sul calo delle vendite e sul calo della produzione è la crisi economica, ma pensare che una situazione differente possa modificare il rapporto tra gli italiani e la lettura è una pia illusione. Il problema è sostanziale. Lo fa notare bene Aldo Cazzullo in un suo recente articolo: “Basta viaggiare su un treno veloce: quasi nessuno ha un libro o un giornale e quasi tutti giochicchiano con tablet e cellulari”. La rete non è un ostacolo, lo è semmai il preferire uno svago passivo e momentaneo a uno profondo, concentrato e approfondito.
Ma fortunatamente non tutto è perduto. La luce in fondo al tunnel è fornita da una certa vivacità del settore e da una serie di attività preposte alla diffusione della lettura (promozioni, eventi, festival, iniziative) che partono dalla scuola e finiscono con gli enti locali. Il punto di partenza è certamente ampliare il numero di lettori prima ancora che intervenire sul mercato. Gli attori coinvolti, insegnanti, librai, editori sono chiamati a una collaborazione volta a instaurare iniziative rilevanti in tal senso. E nel ridefinire un sistema di valori imperniato sulla cultura, evidentemente minacciato, è necessario coordinare politiche pubbliche, statali, regionali e locali in un disegno che favorisca la lettura promuovendo anche il partenariato pubblico-privato e corredandolo di adeguati strumenti normativi e finanziari.
In una società che perde progressivamente il gusto per le piccole cose e i piccoli piaceri lasciando spazio a una quotidiana aridità della vita, è importante tornare ad avere consapevolezza che quando si apre un libro non immagazziniamo passivamente semplici nozioni, ma catturiamo esperienze e concetti che porteremo nel cuore e nella mente. Perché la libertà che può offrire un libro, probabilmente, non ha eguali.
“Chi legge vive mille vite prima di morire, chi non legge mai ne vive solo una” (G. Martin – I fuochi di Valirya)