Produzione, distribuzione, marketing e merchandising sono i quattro fattori determinanti che una qualsiasi azienda, in modo particolare di moda – prêt-à-porter o fast fashion che sia – non può non considerare. Lo sanno bene le case di moda d’alta gamma che, consapevoli del mutamento dei fenomeni sociali e dei modelli di consumo, stringono sempre più collaborazioni con i più importanti retailer d’abbigliamento di massa. Cosa impensabile fino a qualche decennio fa. Il pensiero va immediatamente al colosso H&M che ha reso il co-branding un vero e proprio culto, anche grazie a imponenti campagne pubblicitarie (una su tutte, lo spot Marni diretto dalla celebre regista Sofia Coppola); esistono, però, anche altri esempi simili, quali Gautier per La Redoute piuttosto che Galliano per Zara. La tendenza è stata inaugurata proprio dalla multinazionale svedese nel 2004 con il lancio di una micro-collezione firmata Lagerfeld, cui sono seguiti innumerevoli altri gemellaggi: Lanvin, Viktor & Rolf, Versace, Marni, Maison Martin Margiela e, da ultima, Isabel Marat.
Il successo è stato senza precedenti, quanto meno per il fatturato di H&M. Le interminabili code, i braccialetti come diritto di accesso ai punti vendita e il fatto che la totalità dei capi vengano venduti nell’arco di poche ore dimostrano come l’idea di un lusso democratico, quanto a prezzo ed accessibilità, venga estremamente apprezzato dal mercato. Ma di che tipologia di mercato si sta parlando? Il consumatore in questione è senza dubbio l’acquirente del prodotto conveniente, ma, certo, di qualità non elevata; l’esatto contrario della clientela abituale delle grandi maison. Le percentuali sulle vendite costituiscono per le aziende collaboranti una remunerativa certezza, specialmente per quella ospitante: il sistema fast attinge al lustro del marchio d’alta moda, offrendo allo stesso un ritorno in termini di riconoscibilità e pubblicità presso un target di riferimento nuovo.
Non è un caso, quindi, che, eccezion fatta per Versace e Lagerfeld, sono proprio le case cosiddette di nicchia a cedere a questa tentazione. Tuttavia, il rischio è latente, in quanto è difficile che il consumatore con una capacità di spesa medio-bassa possa poi acquistare con regolarità gli articoli offerti dal brand di lusso. Dunque, conviene davvero mettere a repentaglio le vendite consolidate della propria elitaria clientela, facilmente infastidibile da operazioni di democratizzazione del prodotto di questo tipo?
La qualità richiede il giusto, spesso alto, prezzo; non è necessariamente vero il contrario. Creare collezioni flash, ossia produrre oggetti ricercati ad un prezzo di massa è inevitabilmente un compromesso quanto a materiali o design; tutto sta ad averne consapevolezza. È comprensibile comprare un bel capo o un accessorio nati da queste felici collaborazioni. Va, però, tenuto presente che si sta per acquistare un prodotto di moda e non di lusso. A dispetto delle migliori politiche di marketing, infatti, il lusso autentico non potrà mai essere accessibile, poiché avere l’apprezzamento della totalità delle persone spesso equivale a non piacere realmente a nessuno.