L’Iran Verso le Elezioni: un Voto per la Stabilità del Medio Oriente

Il 19 maggio 2017, il popolo iraniano andrà alle urne per eleggere il prossimo Presidente della Repubblica Islamica. Il voto sarà un banco di prova importante per l’attuale presidente in carica Rouhani, in cerca di un altro mandato, e potrebbe avere conseguenze importanti per la regione, con le potenze globali particolarmente attente al risultato delle elezioni.

Nel 2013 l’elezione del candidato riformista Hassan Rouhani, dopo le due disastrose legislature guidate da Ahmadinejad, aveva riacceso grandi speranze. Rouhani aveva fatto dell’accordo sul nucleare e la fine dell’isolamento di Tehran a livello internazionale il suo cavallo di battaglia. Il 14 Luglio 2015 la ratifica dell’accordo da parte dei 5+1 (i membri permanenti del consiglio di sicurezza dell’ONU più la Germania), dell’Iran e dell’Unione Europea aveva consacrato Rouhani eroe nazionale. L’accordo aveva finalmente permesso la cancellazione di buona parte delle sanzioni economiche e lo scongelamento di miliardi di dollari relativi a entrate per la vendita di petrolio. Ciò nonostante l’economia iraniana continua a vacillare e nonostante un lieve miglioramento, il tasso di disoccupazione rimane ancora molto alto e il malcontento rimane ben visibile tra i cittadini iraniani.

Geograficamente e strategicamente parlando, l’Iran costituisce uno dei maggiori attori nel parterre mediorientale. Nell’attuale conflitto siriano, entrato nel suo settimo anno, Tehran rimane uno degli outsider più importanti. La posta in gioco per la Repubblica Islamica in Siria rimane molto alta e il risultato delle elezioni sembra improbabile che possa portare in qualsiasi modo a cambiare la politica iraniana a Damasco, deviando l’Iran dal supportare uno dei suoi più importante e durevoli alleati: la Siria degli Al Assad.

Ciò non di meno, la vittoria dell’ala riformista o di quella conservatrice potrebbe invece avere un significativo impatto sulle relazioni con le potenze globali. Se i quattro anni del mandato di Rouhani con la nomina a ministro degli esteri di Mohammad Javad Zarif sono stati caratterizzati da un alto livello di diplomazia e pragmatismo, l’eventuale vittoria del più conservatore Ebrahim Raisi potrebbe dunque cambiare drasticamente gli equilibri globali e far tornare l’Iran a un alto livello di isolamento internazionale. Inoltre, l’elezione di Trump e l’animosità mostrata nei confronti di vari Paesi medio orientali, tra cui l’Iran, potrebbe notevolmente portare a pesanti scambi tra Tehran e Washington nel caso di vittoria dell’ala più radicale del Paese.

In tal senso, il 56enne Raisi, giudice facente parte dell’ala integralista dell’élite politica di Teheran, è un vicino alleato della guida suprema, l’Ayatollah Ali Khamenei, che lo ha scelto lo scorso anno come manager della potente fondazione religiosa Astan Qods Razavi. Raisi ha passato inoltre molti anni nel backstage della potente ala giudiziaria del governo, occupando persino una posizione come prosecutore generale. Raisi fu inoltre protagonista e uno dei committenti di migliaia di esecuzioni durante il periodo post – rivoluzionario. La vittoria di un candidato conservatore sembra lontana dal realizzarsi, però la strategia elettorale di Raisi, volto a presentarsi come “protettore” degli interessi dei meno abbienti in un’economia stagnante, potrebbe alla fine rivelarsi vincente.

Nonostante il livello di popolarità rispetto a quattro anni fa appaia nettamente in calo, secondo alcuni sondaggi condotti dalla società IranPoll la maggioranza degli intervistati considera ancora Rouhani il candidato più qualificato a svolgere le mansioni presidenziali. In particolare l’attuale presidente sarebbe nettamente in vantaggio rispetto ai suoi più diretti rivali, Raisi e Ghalibaf, in materie come il miglioramento dei rapporti con l’estero, l’aumento delle libertà civili, la totale rimozione delle sanzioni e il miglioramento delle condizioni di vita per le fasce più povere.

Ancora una volta l’Iran si trova dunque sotto la luce dei riflettori e il risultato che emergerà dalle prossime elezioni presidenziali potrebbe determinare un punto di svolta importante per la stabilità della regione e i rapporti con potenze alleate e non.