A partire dal 22 dicembre 2015 esistono in Italia le Società Benefit, grazie al decreto legge a firma del democratico Del Barba, sei articoli che prevedono “… la diffusione di società che perseguono il duplice scopo di lucro e di beneficio comune”.
Le Società Benefit
L’idea alla base della Società Benefit è d’inappellabile semplicità: gestendo un’azienda si può scegliere di non avere un impatto negativo sull’ambiente, sulla comunità in cui ci si trova e sulle persone con cui si ha a che fare. E questo non vuol dire rinunciare a far soldi, o essere una società non profit: vuol dire decidere di fare le cose per bene, nel migliore dei modi possibile.
In realtà, moltissime piccole e medie imprese italiane sono Società Benefit senza saperlo: lo sono tutte le aziende che gestiscono la propria attività cercando di prendere le decisioni migliori per sé e per i propri dipendenti, senza inquinare l’ambiente, facendo ciò che possono per sostenere la comunità locale in cui operano. Società Benefit non significa gesti eclatanti, marketing della bontà a tutti i costi o grande beneficienza, significa decidere di scegliere il meglio.
L’idea di B Corporation
Ovviamente l’idea di regolare con la legge qualcosa che dovrebbe essere automaticamente previsto (se il mondo fosse un posto migliore) non poteva che venire dal più idealista dei Paesi: l’idea di B Corporation è infatti nata negli Stati Uniti nel 2006 insieme a B Lab, società fondata da J. C. Gilbert, B. Houlahan e A. Kassoy. Nel 2010 il Maryland è stato il primo Stato a introdurre una legge che sancisse l’esistenza delle B Corporation (oggi è una forma societaria legalmente riconosciuta in più di 30 stati) e al momento le B Corp, o Società Benefit, sono 1.550, sparse per 42 paesi.
La situazione in Italia
Dove le Società Benefit non sono una forma legalmente riconosciuta si può scegliere di ottenere una certificazione B Corporation, che si basa sugli stessi parametri di valutazione. In Italia ci sono 10 società che negli ultimi anni si sono certificate B Corp, facendosi valutare nei propri rapporti con i dipendenti, con la comunità locale, con l’ambiente e nelle proprie attività di governance. Alcune sono società che offrono servizi, altre realtà produttive: il concetto di Società Benefit non si limita ad un solo settore, perché è adattabile per sua natura a qualunque tipo di attività.
Pericolo burocrazia
Il fatto che l’Italia sia il primo Paese dopo gli Stati Uniti a riconoscere le Società Benefit è entusiasmante, anche se intorno alla novità sono già partiti i teatrini di rito: ci si preoccupa della burocrazia, che ha il dono di soffocare sul nascere anche le iniziative migliori, ci si domanda –giustamente- in che modo l’Autorità garante della concorrenza potrà verificare i requisiti nel caso in cui la Società Benefit prenda piede e la triade dei sindacati accusa di voler macchiare di capitalismo il terzo settore, dimostrando così di non aver chiaro di cosa si sta parlando (o forse di averlo capito molto bene, e di temere per la propria sopravvivenza).
Si avrà tempo per discutere di come verrà assorbita la novità, ma intanto è importante capire che non si sta parlando di un ibrido profit-cooperative, ma semplicemente di una nuova concezione di società, che racchiude in sé tratti che non sono mai stati inconciliabili nella teoria e tanto meno nella pratica, e offre un’identità nuova all’impegno di molti imprenditori.
Gaia Cacciabue per Spazio Economia