Lo Strano Caso di Come il Rhode Island Legalizzò Accidentalmente la Prostituzione

Al centro di controversie tra chi ne vorrebbe la legalizzazione e chi, invece, ne condanna la moralità, il tema scottante della prostituzione, oltre che accompagnare frequentemente le notizie di cronaca, divide da sempre l’opinione pubblica e gli schieramenti politici.

Il modo in cui il mercato del sesso viene regolamentato nei singoli stati è decisamente vario: si passa da paesi in cui la prostituzione è legale e regolata come qualsiasi altra professione, a paesi in cui vendere il proprio corpo in cambio di denaro è punibile persino con la pena di morte. Le discipline legali vigenti nei diversi ordinamenti, di fatto, possono essere ricondotte a tre modelli legislativi:

Il modello proibizionista, che considera la prostituzione come un’attività illegale, in quanto vietata dalla legge e perseguita penalmente; il modello abolizionista, che definendola un’attività non lecita, non le dà il diritto di essere oggetto di una normale attività commerciale, ma che al tempo stesso non punisce penalmente; e infine il modello regolamentarista, che invece ne sostiene la legittimità, consentendone l’esercizio e regolandola al fine di evitare fenomeni quali lo sfruttamento o la costrizione, in modo che la dignità di chi si prostituisce venga tutelata.

Tuttavia, come ogni tabù, anche la prostituzione annovera nella sua storia alcuni casi curiosi: come quando il Rhode Island, per una svista lessicale, legalizzò per trent’anni il mercato del sesso all’interno dei propri confini.

Era il 1976, quando il COYOTE (acronimo di Call Of Your Old Tired Ethics), un’organizzazione nazionale americana che ai tempi si batteva per avere riforme e leggi che regolassero il commercio del sesso, citò in giudizio il Procuratore Generale e il Capo della Polizia del Rhode Island, sostenendo che la vigente legge in materia fosse incostituzionale.