Mal di Bullo

Può accadere che nel tragitto che porta a casa la sera, magari dopo un’intensa giornata di studio o di lavoro, si assista a episodi di strana consuetudine. Gesti semplici e spiazzanti, anomali ma comuni, tanto che restano così, al loro destino. Fino a che non portano, come accade talvolta, a tragiche conseguenze. Sono ragazzi, adolescenti che pesano poco i gesti che fanno e le parole che dicono, ma basta essere un occasionale lettore della cronaca nera riportata dai quotidiani perché un campanello d’allarme scatti. Uno spintone, poi un altro, una battuta di troppo o un po’ troppo dura da digerire, tutti fenomeni che, se perpetrati nel tempo, rientrano nel grande calderone del bullismo.

Fenomeno oggi sulla bocca di molti, gli studi sul bullismo hanno radici negli anni Settanta del secolo scorso nei Paesi scandinavi. Di particolare rilievo, le indagini dello psicologo svedese Dan Olweus, che avviò i propri studi dopo l’indignazione dell’opinione pubblica norvegese dovuta al suicidio di due giovani studenti vittime di bullismo. In Italia, ricerche dedicate a questo specifico ambito saranno condotte solo a partire dalla seconda metà degli anni Novanta.

Sono principalmente due le vie in cui possono incappare le vittime dei bulli: da una parte il rifiuto, l’essere allontanati dalla compagnia dei violenti e discriminati per sesso, confessione religiosa o etnia; dall’altra l’emarginazione, simulando un ingresso nel gruppo stesso di bulli che nasconderà il tentativo di procurare danni e subordinazione.