Marine Vacth, la Bellezza che Non si Basta

Imperscrutabili occhi verdi, lentiggini quanto basta, chioma biondo-castana: Marine Vacth è di una bellezza disarmante, da sindrome di Stendhal. Nasce a Parigi nel 1990 ma cresce e vive nella ben più stinta periferia Maisons-Alfort. Non proviene dall’intellighenzia altoborghese di Francia, come ci si potrebbe facilmente aspettare, bensì da una famiglia qualunque: padre ferroviere, assai collerico, e madre contabile, emotivamente assente, come lei stessa non esita a confessare.

Già all’età di 15 anni entra a far parte del quasi inaccessibile mondo dell’alta moda, nel quale, tuttavia, sin dall’inizio, non ripone particolari aspettative né riesce a trovare appagamento; non bastano servizi fotografici con professionisti del calibro di Karl Lagerfeld, Paolo Roveresi, Mark Seliger e neppure un corto pubblicitario per la fragranza “Le Parisienne” by Yves Saint Laurent – sottratto, peraltro, alla Moss – a farle cambiare idea.

La sola apparenza non appaga la sua anima: per la sua ambizione ci deve essere in serbo qualcosa di più di un abbacinante riflettore ed una passarella.

Ed è proprio questo singolare suo turbamento interiore, oltre all’inafferrabile fascino, che le permette di essere scritturata per il film “Jeune et Jolie”, (in concorso all’ultimo festival di Cannes e solo dal 7 novembre nelle sale italiane) da François Ozon, eclettico regista francese.

Il ruolo che impersona è tutt’altro che comodo: sarà Isabelle, prostituta diciassettenne che, non per soldi, noia o mancanza di affetto, ma per puro piacere adolescenziale, ama prostituirsi in lussuosi alberghi, anziché fare shopping e uscire con le amiche.

Dopo l’esperienza sulla Croisette, l’interesse dei rotocalchi di tutta Europa si fa sempre più acceso. Chi sia quella misteriosa fanciulla in lacrime sul red carpet, in preda all’emozione mista totale spaesamento, non è dato sapere. Marine odia le interviste, ma non certo per neonato divisimo. “Raccontare di sé è troppo difficile. In fondo puoi parlare dell’infinito ma è impossibile catturare pienamente lo spirito di una persona”.

Nonostante ciò, alcune testate, tra cui Le Nouvel observateur, Vogue Italia e Flair riescono ad “estorcerle” brevi dichiarazioni, ma non senza incessanti richieste di appuntamento spesso disattese.

Ciò che emerge da queste conversazioni sono, più che le parole, spesso scarse e lapidarie, i misteriosi silenzi di Marine. Si definisce animale, istintiva, osservatrice; interrogata riguardo alla difficoltà del tema della pellicola e del ruolo da lei sostenuto risponde che l’unica sua remora è stata il timore di non essere abbastanza credibile nell’intraprendere in modo professionale il suo personaggio, ma che, né il nudo, né, tanto meno, il rischio di essere considerata come solo oggetto sessuale le sono stati di ostacolo alcuno. In merito al recente cambiamento della sua vita racconta che l’unica cosa ad essere cambiata è la conquistata indipendenza economica, ma ciò “non significa spendere denaro per accumulare beni […] è piuttosto uno stato d’animo, la possibilità di fare scelte non dettate dal bisogno”. Ha parlato di un’adolescenza piuttosto vuota, in una casa senza libri, senza cultura, senza musica. “Ecco perché d’ora in avanti sceglierò soltanto ruoli duri, con la vita di m**** che ho fatto; non ho alcun glamour da difendere”.

Quanto al futuro, che la critica vede come più che promettente (secondo lo stesso Ozon la Vacth possiede la magia della star), la disillusione è totale: “Non ho voglia di immaginarlo, sinceramente. Voglio che arrivi tutto così, inatteso, come è accaduto finora”.

La naturale inconsapevolezza, l’esistenzialismo dei suoi silenzi, la divinità della sua bellezza fanno di Marine un inequivocabile astro nascente del cinema francese. Marine è l’ineffabilità della sua persona ma, al contempo, la concretezza delle sue parole; Marine è la Marianne, jeune et jolie, di cui sempre la Francia ha orgogliosamente bisogno.