“È la tua ultima occasione, se rinunci non ne avrai altre. Pillola azzurra, fine della storia: domani ti sveglierai in camera tua, e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quant’è profonda la tana del bianconiglio.”
Thoma Piketty, economista francese pressoché sconosciuto, differentemente da quanti ancora nella comunità accademica ammansiscono le proprie frustrazioni cognitive dilettandosi con “modellini” di dubbia utilità, ha decisamente scelto la seconda delle due. Il suo ultimo volume “Il Capitale nel Ventunesimo Secolo” (ogni riferimento a economisti o libri realmente esistiti è puramente intenzionale), oltre ad essere stato accolto come il contributo più importante degli ultimi dieci anni nelle scienze economiche, si aggiudica l’onore di aver prepotentemente ricollocato al centro del moderno dibattito accademico, in un momento storico in cui regna un generale senso disorientamento sulle priorità della ricerca, il tema della disuguaglianza di reddito. Basandosi sulla teoria dell’accumulazione del capitale di Marx (1), Piketty costruisce la propria argomentazione su una semplice formula:
r > g
Siccome i rendimenti del capitale (r) sono sempre maggiori del tasso di crescita dell’economia reale (g), i proprietari del capitale godranno sempre di un aumento della propria ricchezza, a scapito dell’aumento della disuguaglianza di reddito. Seguendo questa dinamica le stime di Piketty ci anticipano che il rapporto tra capitale e reddito passerà dal 4,5 del 2010 al 6,5 nel 2100.
Una sintesi esaustiva del presente ragionamento è fornita da Robert Solow, premio Nobel per l’economia nel 1987, che su New Republic scrive: “Piketty suggerisce che la crescita globale dell’output rallenterà nel prossimo secolo dal 3 all’1,5 per anno. Fissa il tasso di risparmi/investimenti al 10 per cento. Quindi si aspetta che il rapporto tra capitale e reddito crescerà fin quasi a 7”.