Massimo Deandreis, presidente GEI: “Ecco quali sono le nuove sfide per gli economisti”

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“Gli strumenti di analisi utilizzati dagli economisti non sono più sufficienti a fare previsioni perché il contesto economico, ma anche politico e sociale, cambia in modo così forte e accelerato che è difficile da interpretare”. In un’intervista a Smartweek, Massimo Deandreis, Direttore Generale di SRM Centro Studi collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo, ragiona sulla nuova sfida che attende gli economisti italiani: prevedere l’imprevedibilità. Una sfida che si iscrive anche nell’altro ruolo ricoperto da Deandreis, quello di presidente di GEI, l’associazione italiana che dal 1977 riunisce gli economisti di impresa.

Partiamo da qui. Che cos’è GEI e quali finalità si prefigge?

Il GEI è l’associazione italiana degli economisti di impresa ovvero di coloro che per professione, lavorando in imprese, banche, associazioni di categoria, si occupano dell’analisi dell’economia reale, dell’andamento delle imprese e dei settori economici.  L’associazione ha un triplice obiettivo: primo mettere insieme economisti di professione e consentire a questo gruppo di avere dei momenti di confronto sulle previsioni che ciascuno fa nell’esercizio del proprio lavoro. Il secondo obiettivo èdivulgativo, ossia diffondere la cultura d’impresa mettendo in risalto quanto l’impresa sia centrale per lo sviluppo economico. Proprio per questo siamo aperti anche a soci che sono imprenditori dato che l’imprenditore è il primo economista della sua impresa. Il terzo obiettivo è lo scambio di conoscenze. I nostri soci, imprenditori alcuni, altri affermati economisti che operano nei più importanti centri di ricerca, hanno attraverso di noi momenti di incontro e di riflessione comune  che permettono  di confrontare le informazioni  e condividere le analisi. Questo porta all’arricchimento della conoscenza in ognuno di noi e rende l’associazione capace di esprimere opinioni e analisi condivise.  Voglio anche ricordare che siamo aperti ai giovani: fare l’economista di professione può essere una bellissima professione e non a caso abbiamo già molti brillanti universitari tra i nostri soci.

GEI organizza anche numerosi eventi durante l’anno. Ce ne può parlare?

Diversi eventi ma due particolarmente rilevanti. Il primo è la Giornata in ricordo di Franco Momigliano studioso di economia industriale e tra i fondatori dell’associazione, dedicata al tema della politica industriale, e del futuro dell’industria nel nostro Paese. Non va dimenticato che l’Italia è il secondo Paese manifatturiero d’Europa. Siamo eccellenti in molti comparti: dal settore della moda, a quello dell’automotive, passando per la farmaceutica e la robotica. L’industria italiana ha una sua forza, lo si vede nella capacità di esportare delle imprese italiane anche in un periodo di crisi dove come quello vissuto in questi anni, in cui è calata la domanda interna ma non quella estera. Quest’anno ci siamo concentrati su una nuova sfida dell’industria italiana: il processo di digitalizzazione dell’industria, ovvero l’industria 4.0. La data della Giornata Momigliano non è stata ancora fissata, ma tradizionalmente si tiene a fine marzo. Il secondo evento è invece all’interno del Festival dell’Economia di Trento.

Oltre a queste due giornate abbiamo poi gli Osservatori Congiunturali. Si tratta di quattro riunioni annuali durante le quali noi soci ci confrontiamo. Lo scopo degli incontri è analizzare le previsioni economiche elaborate dai centri studi per poi dare una valutazione generale su quelle che sono le aspettative di sviluppo nel prossimo futuro.  Il frutto di questo lavoro viene poi reso pubblico.

Passiamo ora all’attualità. L’anno scorso ci sono stati alcuni eventi importanti. I più interessanti e dibattuti sono stati Brexit e l’elezione di Trump alla Casa Bianca. Gli economisti prevedevano il crollo dei mercati dopo questi eventi. Le previsioni però non si sono avverate. L’economista Alessandro Roncaglia nel suo libro “Economisti che sbagliano” dice che gli economisti hanno perso il contatto con la realtà. E’ vero o sono cambiati i paradigmi?

E’ vero che gli economisti sbagliano; lo dimostrano i dati. Le previsioni generali  a livello internazionale sono state tutte regolarmente disattese. Il problema sta nel fatto che gli strumenti di analisi utilizzati dagli economisti non sono più sufficienti a fare previsioni perché il contesto economico, ma anche politico e sociale, cambia in modo così forte e accelerato che è difficile da interpretare. E questo introduce un elemento che caratterizza l’economia di oggi e del prossimo futuro, ovvero l’imprevedibilità. La difficoltà di prevedere variabili geopolitiche ed economiche, alcune molto inquietanti, che hanno tutta una serie di sbocchi possibili  con conseguenze a catena. Prima l’analisi economica si fondava su un contesto più stabile e lineare ed era più facile fare previsioni. Ora non più. Questo mette in discussione il lavoro degli economisti. E’ una sfida totalmente nuova. Ma proprio la complessità di questi anni rende il lavoro di un’associazione come il GEI ancora più importante.

Parlando di eventi inattesi, Donald Trump sembra voler perseguire una politica isolazionista. Il premier britannico May ha parlato di “Hard Brexit”. In Europa i movimenti populisti e nazionalisti raccolgono sempre più consensi promettendo l’uscita dall’Unione Europea.  E’ in pericolo l’unione monetaria?

C’è un pericolo serio di vedere gradualmente disgregarsi tutte le conquiste fatte con il processo di integrazione europea. Oggi è facile dare addosso all’Europa, ma non dobbiamo dimenticare che ha garantito sessant’anni di pace tra paesi che si sono fatti la guerra per secoli. Ha garantito progresso costante e un processo che ha portato all’arricchimento economico e culturale di tutti i paesi europei. Il rischio di disgregazione esiste perché ci sono forze interne ed esterne all’Europa che lavorano a questo. Quello che manca ancora è la consapevolezza da parte delle opinioni pubbliche che, se si distrugge tutto questo, il rischio è di pagare un conto molto alto perché nessuno dei paesi europei da solo ha la forza e il mercato interno per reggere la competizione e le sfide geo-politiche globali. Neppure la Germania.

Andiamo in Italia. Il 2016 il Paese ha chiuso in deflazione cosa che non accadeva dal 1959. Inoltre in tutti i sondaggi gli italiani si dicono pessimisti circa il proprio futuro economico. Tutto questo pessimismo è giustificato? L’uscita della crisi è più lontana?

Se noi guardiamo i principali dati degli ultimi mesi la ripresa appare esserci e forse è più solida di quello che il Fondo Monetario ha  indicato nell’ultima review. E’ possibile che l’FMI si sia tenuto prudente per via della situazione politica del nostro Paese e dell’Europa.  Se però diamo un’occhiata ai dati vediamo che il Pil dopo anni è intorno all’1%. Persino il Mezzogiorno ha dato segnali di ripresa anche più consistenti del Centro Nord. La deflazione è un fattore negativo ma comunque sta a significare che il tasso di crescita è reale, mentre altri paesi con tassi di crescita più elevati hanno anche un po’ di inflazione. Il problema è però un altro. Dopo la crisi del 2008 sono aumentate le diseguaglianze in termine di distribuzione dei redditi. E’ cresciuto il numero dei più ricchi al mondo in rapporto alla popolazione. Siamo arrivati alle stesse percentuali che c’erano prima della Grande Guerra e della Seconda Guerra Mondiale. Questo è un indicatore molto preoccupante perché segnala una  grande insoddisfazione tra le classi medie, che hanno perso potere d’acquisto. Questo disagio si manifestata socialmente e politicamente contribuendo all’instabilità.  Lo vediamo in diversi paesi europei e negli Stati Uniti. E anche in Italia dove 7 anni di crisi, oltre che all’impoverimento, hanno fatto crescere le disuguaglianze sociali e territoriali.  La vera sfida, quindi, è fare in modo che quel poco di crescita che ora abbiamo inneschi nuovi processi di distribuzione dei redditi.

Passiamo all’economia. Luxottica si è fusa con Essilor. Mediaset rischia la scalata da parte di Vivendì. Le imprese italiane sono a rischio colonizzazione?

Bisogna partire da una premessa. Se noi crediamo che il futuro dell’economia italiana sia dentro l’economia europea in una logica di rafforzamento dell’Unione allora è relativamente normale che ci siano processi di acquisizione di imprese italiane. Il problema quindi non è questo. Il problema è mettere le imprese italiane in condizione di fare altrettanto.  E lì dove questo non avviene deve intervenire il  governo favorendo l’espansione delle aziende italiane. Un esempio lampante in questo senso è Fincantieri che fatica a portare a compimento un’acquisizione in Francia. Questo perché manca reciprocità. Serve reciprocità per completare l’integrazione del mercato europeo altrimenti rimane monco.

Napoletano in un editoriale sul Sole 24 Ore ha detto che queste acquisizioni si verificano perché c’è una mancanza di management forte all’interno delle imprese italiane. Condivide questa critica o c’è dell’altro?

Condivido e aggiungo che alle imprese italiane spesso manca una strategia internazionale  della loro espansione. Troppo concentrate sul mercato domestico. Anche perché internazionalizzarsi non vuol dire solo esportare.  E’ vero però che ci sono anche tante piccole e medie imprese che fanno acquisizioni ma non se ne parla. Sui media si dà risalto alle acquisizioni di aziende di interesse nazionale. E la percezione finale che si ha è che l’Italia sia solo una terra di conquista. Così non è.

Concludiamo con le banche. Monte dei Paschi è stata salvata dallo stato. Altre banche sono in sofferenza. Il sistema bancario italiano è a rischio?

Il sistema bancario italiano è molto più solido di quello che viene percepito. Il nostro modello, con tutti i suoi limiti, è rimasto ancorato più di altri all’economia reale. E questo spiega il perché delle difficoltà. Il tema delle sofferenze è conseguenza  dei crediti dati alle imprese e che non sono stati restituiti a causa della crisi. Avere sofferenze in gran parte assistite da garanzie reali non è la stessa cosa di avere dei derivati a bilancio. Con la ripresa dell’economia il processo di rafforzamento del sistema bancario avrà una  accelerata.  Anche nel sistema bancario esiste comunque la necessità di ulteriori consolidamenti per costruire gruppi ancora più solidi e capaci di essere protagonisti in Europa pur mantenendo la forte identità dei territori di origine. Una sfida per rendere l’Italia protagonista, e non solo spettatore, sulla scena economica europea.

Andrea Turco