Sette milioni e mezzo di tedeschi lavorano con un “mini-job”: una forma contrattuale che interessava 5,9 milioni di lavoratori nel 2003 ed oggi coinvolge il 25% degli occupati tedeschi. I mini-job sono rapporti di lavoro pagati meno di 500 euro il mese, esenti da contributi previdenziali per il lavoratore e con contributi ridotti per il datore di lavoro. I mini-job sono una delle spiegazioni della modesta disoccupazione tedesca in una fase economica non semplice a livello europeo: dalla riduzione significativa dei contributi alla disoccupazione al sollievo dei conti pubblici fino alla bassa pressione salariale che ha sinora consentito alle imprese tedesche di operare a costi contenuti e di crescere sul fronte delle esportazioni. Per contro, a fronte di ridotti contributi previdenziali versati oggi, il conto per il sistema previdenziale pubblico potrebbe essere elevato domani. La ridotta capacità reddituale dei lavoratori ne ha limitato, ma non escluso, la capacità di consumo: il mercato interno tedesco “beve poco ma beve” ed i conti, come detto, stanno in piedi grazie all’export. Non del tutto semplice, non del tutto positivo, anche se le luci sembrano superiori alle ombre.
Molti sono i punti che meritano riflessione, sia con riferimento alla società tedesca che a quella italiana, innanzitutto per confronto. Dal punto di vista etico, sembra preferibile avere un lavoro, seppure poco retribuito, piuttosto che ricevere un sussidio di disoccupazione, temporaneo o meno. Ciò appare particolarmente importante soprattutto nel caso in cui l’alternativa alla disoccupazione sia la “cattiva occupazione” in imprese decotte e senza prospettive, tenute in vita artificialmente con la cassa integrazione ordinaria e straordinaria.
Dal punto di vista sociale, avere una forza lavoro occupata migliora, spesso se non sempre, il clima di una comunità, dando ad ognuno un “senso” alla propria vita e a quella del nucleo familiare di riferimento. Dal punto di vista economico infine, la creazione di posti di lavoro accresce, seppure in misura non necessariamente proporzionale alla crescita degli occupati, l’efficienza di un sistema industriale.
Ciò detto, i maggiori svantaggi sembrano risiedere nell’equilibrio pensionistico di lungo termine e nello sviluppo di competenze professionali. Contributi pensionistici bassi, o insufficienti, determineranno infatti inadeguate erogazioni pensionistiche future, a meno di prevedere un innalzamento dei contributi in una fase lavorativa successiva. Il sistema pensionistico ha sempre un equilibrio precario, e modeste variazioni nei livelli di copertura possono alterarne la struttura nel medio e lungo termine. Un lavoro a bassa retribuzione è usualmente legato a prestazioni lavorative meno ricche e con una modesta richiesta di professionalità: senza miglioramenti continui e costanti (quello che tradizionalmente ha fatto la Germania), è assai difficile mantenere vantaggi tecnologici, di processo, competitivi.
Guardando all’Italia, misure economiche avvicinabili ai mini job non sono nemmeno lontanamente nell’agenda politica di Governo, partiti o sindacati, tutti legati a una tradizione di “salvataggio”: di imprese decotte, non del lavoro.