Monte dei Paschi e la Mancata Prosperità dei Popoli

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Un paio di weekend fa, in occasione di una gita a Siena con degli amici, ho deciso di andare a vedere la sede di Monte dei Paschi: sia perché solitamente le banche sono ubicate in vie o piazze storiche del centro delle città, sia perché mi ha molto incuriosito l’inchiesta che ha travolto la banca nell’ultimo anno.

Per chi non lo sapesse, Monte dei Paschi nasce nel 1472 su iniziativa dei padri Francescani come monte di pietà, in opposizione ai grandi banchi finanziari dei sovrani e alle banche pubbliche delle città, rivolgendosi alle classi meno agiate, le quali avevano bisogno di prestiti di limitata entità. Infatti, la banca senese è la più longeva del mondo, unica ancora in attività, mentre il primato di antichità assoluta spetta al Banco di San Giorgio fondato nel 1377. La banca ha la sua sede storica in Piazza Salimbeni, dove al centro domina un monumento in onore di Sallustio Bandini; curioso, che sotto la statua dell’economista dedicatagli dalla banca, vi sia riportata la seguente epigrafe: “Che le dottrine della libertà economica insegnò primo per la prosperità dei popoli”.

Proprio Mps, nata come monte di pietà per chi aveva bisogno di modesti prestiti, oggi è l’ennesima banca salvata dall’oblio del fallimento, frutto di una gestione, quella degli ex vertici, improntata a essere sempre più grandi e con grandi utili: si acquista Antonveneta da Santander a 10 miliardi quando ne valeva 7 e si compiono operazioni di finanza strutturata troppo rischiose.

Il groviglio armonioso di Siena, tra la politica che governa la città e la Fondazione che gestisce la banca, lascia correre senza controllo e con silenzio omertoso. La situazione, però, precipita nel 2011, quando Banca d’Italia scopre che la banca contabilizza in bilancio come titoli di stato, dei derivati: Mps deve correre ai ripari con i Tremonti-bond e due aumenti di capitale. La banca ora vale un quinto di quello che valeva prima, la Fondazione, che manteneva il controllo della banca in qualità di primo azionista, ha bruciato 13 miliardi.

Quest’anno, in seguito ad un coraggioso piano di tagli e razionalizzazione dei costi delle filiali e del personale, l’istituto senese registra il primo utile, dopo tre anni di rosso, combattendo le paure del mercato. Purtroppo per quanto la realtà confuti massicciamente le teorie egemoni del libero mercato, la prima viene rifiutata e la seconda riproposta. Una domanda sorge spontanea: quando l’economia tornerà ad essere al servizio dei popoli e per la loro prosperità come si legge nella statua? 

Ludovico Cesare Boero

Per Liveconomy (Università Cattolica del Sacro Cuore)