Ci scuserà Bob Dylan se prendiamo in prestito il titolo di un suo celebre successo, ma crediamo davvero possa descriva meglio di ogni altra cosa quanto sta avvenendo, tra i vari ambiti dell’intrattenimento, nel mondo della musica. Non tanto relativamente ai contenuti, quanto piuttosto al modo di fruirne. I tempi cambiano. E cambiano in fretta.
Tramontata definitivamente l’epoca in cui si trascorrevano ore e ore a rovistare tra gli scaffali dei negozi di CD e vinile in cerca dell’ultimo successo del nostro artista preferito per poi riprodurlo tramite lo stereo di casa (lo scorso aprile ha chiuso definitivamente i battenti il famoso Bleecker Bob’s Records di New York dopo 45 anni di attività), ci siamo trovati catapultati nell’era di internet. Alla fine del secondo millennio è nata la cosiddetta musica “liquida”, neologismo che definisce la separazione della stessa dal supporto fisico e la diffusione della riproduzione in mp3, con i programmi online di peer-to-peer come Napster che hanno causato l’inizio di una crisi nell’industria discografica che perdura fino ai giorni nostri. In breve tempo e ad un costo enormemente più basso, i brani si sono resi sul computer, pronti per essere ascoltati. A scapito di un lieve peggioramento nella qualità del suono, è stato così finalmente possibile liberarsi da scomodi e pesanti walkmen e riprodurre le proprie tracce audio attraverso i primi player di cui l’iPod di Apple resta un fulgido esempio.
Fu proprio l’azienda di Cupertino in quei tempi a fare la parte del “leone”, dapprima con la nascita di Apple iTunes e, dopo poco, di iTunes Store, ramo del lettore multimediale. Già nel 2004 iTunes rappresentava il 70% del mercato della musica digitale e iTunes Store contava oltre un milione di brani in catalogo supportato dalle principali Major discografiche del mondo. La scelta di generi, album ed artisti era quanto mai vasta.
Il cambiamento fu di tale portata che nel 2008 la FIMI (Federazione Industria Musicale Italiana) annunciò l’interruzione della pubblicazione dei singoli più comprati, mantenendo solamente quella dei brani più scaricati dalla rete. Gli stessi artisti rivoluzionarono il concetto dietro il loro lavoro, saltando tutte le procedure dedicate alla produzione e rendendo disponibili direttamente online i loro album. In tal senso i Radiohead furono i primi a prendere l’iniziativa con l’album “In Rainbows” (2007) , scaricabile gratuitamente dal loro sito web. Nello stesso anno i brani scaricati furono 1,4 miliardi, pari a un fatturato di mercato superiore ai 3,7 miliardi di dollari. Non solo, le piattaforme digitali arrivarono a coprire il 20% di tutto il mercato discografico mondiale, dato assolutamente significativo se confrontato con quelli di cinema ed editoria, di gran lunga inferiori. I brani immagazzinati nei dispositivi, sempre più integrati, crescevano in numero, erano riproducibili in qualsiasi momento e con dispendio di tempo e denaro ancora più bassi.
Accanto ai progressi relativi alla digitalizzazione della musica è utile accostare l’irruzione degli smartphone sul mercato dei device ( iPhone di Apple è ancora un significativo esempio). Questo perché potendo il consumatore rispondere alle telefonate, dopo aver navigato in internet e mentre la propria musica è costantemente in riproduzione su un unico dispositivo, si è generato un sostanziale risparmio di spazio e tempo che ha reso ancora più confortevoli i propri momenti di svago. I lettori mp3 ridussero fortemente le vendite: molti furono cannibalizzati e resi obsoleti da un incremento di prodotto tecnologico da parte dalla stessa casa madre (gli Pod ad esempio diminuirono drasticamente le vendite con l’avvento dell’iPhone, che consentiva comunque la riproduzione di musica) e la diffusione casalinga lasciò spazio a un segmento sempre più di nicchia, perlopiù formato da veri e propri audiofili.
E ora a che punto siamo? Lo stadio di avanzamento tecnologico, legato alla diffusione globale di internet, ha consentito lo sviluppo della tecnlogia cloud su larga scala, permettendo di salvare spazio importante sui computer. Ma soprattutto ha consentito l’ingresso sul panorama della riproduzione audio a nuove piattaforme online quali Spotify e Deezer, tanto per citare due nomi noti. Il paradigma è cambiato di nuovo. Adesso la tendenza è la diffusione dello streaming on demand, che consente a chiunque abbia accesso al web di raggiungere, ascoltare e (solo volendo, ma non necessariamente) scaricare una grande quantità di brani in pochi click. La qualità sonora migliora ulteriormente e i servizi sono personalizzabili: è infatti possibile creare innumerevoli playlist, così da recuperare velocemente le tracce. E, soprattutto, è gratis. Solo chi desidera evitarsi pochi secondi di pubblicità e replicare gli stessi servizi sui propri dispositivi pagherà un abbonamento a prezzo contenuto.
Il mercato ha percepito tali innovazioni come radicali: nei primi sei mesi in Italia, Spotify ha riprodotto 610 milioni di brani e conta oggi ben 6 milioni di abbonati mondiali. Deezer, principale concorrente, recupera terreno in fretta, dopo il recente annuncio del raggiungimento dei 5 milioni di abbonati in 182 Paesi diversi (più del doppio rispetto a quelli di fine 2012) e della cifra complessiva in catalogo di 30 milioni di brani. Fare il download delle canzoni – in un certo senso “possederle” – non è più percepito come necessario, potendo riprodurre su lettori archiviati in rete, potendo scegliere tra un’infinità di altre canzoni ed essendo in grado di ascoltarle in qualunque momento gratuitamente.
In futuro probabilmente questa tendenza si acuirà al punto da consentire di occupare ogni momento libero della propria giornata coi propri brani preferiti, indipendentemente da dove ci si trova e dal tipo di dispositivo che si utilizza. Dunque, non resta che augurarci: buon ascolto!
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