Non sono solo Canzonette: il Futuro della Musica secondo Giulio Mazzoleni

Un profondo conoscitore di musica. Ergo, uno tra i discografici italiani che ha prodotto e promosso molta della musica che negli ultimi 15 anni ha scalato le classifiche di tutto il mondo. Come promotion manager e come senior product manager di Universal Music dal 1999, Giulio Mazzoleni ha maturato la sua esperienza a cavallo tra la Mtv Generation e la nascita e l’avanzata incontrastata degli mp3 e della music in streaming. Ha lavorato con artisti del calibro di Madonna, Robbie Williams, Lady Gaga, Stevie Wonder, Bjork, Gianna Nannini solo per citarne alcuni e oggi ha scelto la carriera solista senza Universal, creando la MazMusic&Media. Noi di Smartweek abbiamo incontrato Giulio per parlare di come si sta orientando il business della musica nell’era dello streaming, di Spotify e dei talent show.

Giulio, qual è lo stato dell’arte della musica oggi?

La musica sta benissimo. Rispetto al passato, è molto più accessibile per via delle tecnologie e di Internet. La gratuità ne ha aumentato il consumo. Siamo tornati al mercato dei singoli e i bisogni del pubblico sono profondamente cambiati. Chi ha oggi il tempo di ascoltare per esempio un intero album? L’attenzione per un pezzo dura oggi al massimo due minuti perché c’è una bulimia pazzesca. Chi ascolta un brano su Youtube dopo quel lasso di tempo sceglie altro proprio perché ha un’offerta incredibile.

È cambiato anche il modo di percepire gli artisti?

Gli artisti sono molto stimolati da Internet. Non c’è più l’ingessatura di un tempo, per cui un cantante o un gruppo non è più chiamato a dover fare tre singoli, tre video e infine la tournée. Un esempio recente: Lady Gaga non ha realizzato il video di “Do what U want” che non ha avuto il successo commerciale sperato, ma la sua performance a The Voice con la Aguilera è andata talmente bene che ha deciso di fare la studio version e regalarla ai fans su Twitter. Capisce, anche il regalare qualcosa a livello artistico è diventata un’opportunità.

Lei ha lasciato dopo 14 anni la Universal Music per intraprendere una carriera da free lance in un’avventura che si chiama MazMusic&Media. Perché?

Ho lasciato per l’ambizione di essere più stimolato ad esprimere il mio talento e le mie idee. Il discografico di trincea ad un certo punto diventa come il calciatore: o si siede in panchina o apre un ristorante. Se hai trascorso 14 anni a sacrificare tutto per la musica, devi inevitabilmente prenderti una pausa.

Cosa significa essere un free lance nel mondo della musica?

È innanzitutto una sfida. La pressione fiscale per un libero professionista oscilla tra il 60 e il 65%. Devi quindi porti degli obiettivi molto alti. E poi ti responsabilizza a dare il meglio, e volere il meglio. Nel mio caso, ho avuto la fortuna di trovare degli artisti come Eros Ramazzotti e Mika che mi hanno incoraggiato e hanno voluto lavorare con me.

Il progetto ha altri nomi eccellenti.

MazMusic&Media è prima di tutto una piattaforma di liberi professionisti in cui si integrano le diverse competenze di ognuno di noi. Della squadra fanno parte Andrea Sampaoli e Paolo Klun. Andrea è un esperto di grafica e di web design. È un architetto e ha un approccio totalmente diverso rispetto agli altri. Paolo è stato segretario di Oriana Fallaci, ha lavorato in RCS, è stato alla guida della comunicazione de La Scala e del San Raffaele. Con loro abbiamo l’obiettivo di occuparci di musica, editoria, design a 360°. Un obiettivo senza dubbio molto ambizioso.

Lei è l’artefice del successo italiano di Mika. Giudice di XFactor, testimonial tv, musicista da primo posto in classifica.

Mi interessava che in Italia si capisse la sua musica e il suo personaggio. Volevo far emergere la sua arte. Quando andò la prima volta ad XFactor su Sky chiesi di farlo sedere qualche minuto in giuria. Dieci minuti dopo la fine della sua performance ci chiesero di fargli fare il giudice per l’edizione successiva. Con lui l’obiettivo è di cercare di fare sempre qualcosa di nuovo, di dargli una sua unicità.

La musica oggi deve fare i conti con due fenomeni. Il primo è Spotify.

Raramente l’industria discografica ha fatto qualcosa di propositivo. Napster lo si è chiuso, My Space lo hanno riadattato. Quando è arrivato Spotify l’industria discografica ha firmato importanti accordi per sfruttare la sua avanzata e per permettere agli artisti di guadagnare qualcosa in un campo in cui nessuno riconosceva alcun diritto.

Il secondo è la pirateria.

Personalmente al solo pensiero inorridisco. La gente dovrebbe capire che non è l’artista ad essere danneggiato da essa bensì l’intera squadra, dai produttori alla receptionist dello studio di registrazione, che fa parte del suo progetto. Perché se una persona paga il pane non può pagare un brano musicale? Non arrivano entrambi da un lavoro, da un processo di creazione?

La musica, infine, oggi fa i conti con i talent show. Per l’industria discografica è un’occasione per investire meno nella ricerca degli artisti?

Assolutamente no. Il reparto artistico di una casa discografica è semplicemente sollevato dall’incombenza di dover investire su artisti giovani che fanno musica pop. Per il resto il mondo dell’alternativo, del rock non può passare dal talent che considero semplicemente come un’altra espressione dei nostri tempi. Chi lavora nel dopo talent, si preoccupa molto di come va la carriera dei vari Mengoni, Ferreri o Noemi perché ciò che si protrae nel tempo, ovvero la legacy che si crea dopo il talent, è strettamente collegato all’immagine del talent stesso.

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