La storia di quella zona è ricca di attentati terroristici che hanno per protagoniste le fidanzate di Allah: il 29 marzo 2010, nella metropolitana di Mosca, due donne kamikaze provocarono 41 morti e un centinaio di feriti. Il 28 agosto 2012, nella regione più instabile del Caucaso, il Daghestan, una “vedova nera” si è fatta saltare in aria uccidendo un eminente teologo della comunità islamica Sufi. Ben 500, invece, erano i grammi di tritolo che indossava lo scorso 25 maggio Madina, vedova di un terrorista, costretta a sacrificarsi dopo essersi ritrovata senza alcuna protezione maschile: 18 feriti.
I fatti parlano chiaro. Ma ciò che allarma ulteriormente il governo russo è anche la scelta del luogo del recente attentato sul bus. Decisamente distante dall’area perennemente colpita dagli attentati terroristici, Volgograd, ex Stalingrado, è una città simbolo dell’orgoglio russo. I ribelli hanno intenzione di estendere il campo d’azione degli attentati, sperando di avere un forte impatto mediatico al fine di boicottare i Giochi e mettere in ginocchio il Paese. Colpire una città come Volgograd significa dare un forte segnale al presidente Putin dopo la diffusione di “Stalingrad”, la pellicola campione d’incassi sulla città che fece da sfondo all’epica battaglia della Seconda Guerra Mondiale. Il film è stato finanziato dal governo in nome della potenza militare e della forza del Paese. Una forza, che non può non essere messa in discussione alla luce degli attentati che minacciano i Giochi Olimpici.
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