Una delle dinamiche economiche che maggiormente ha contraddistinto l’America del secondo dopoguerra – e che da sempre alimenta il cosiddetto Sogno Americano – è stata l’elevata mobilità sociale verso l’alto: ogni individuo aveva buone possibilità di vedere aumentato il proprio tenore di vita durante l’arco della sua carriera lavorativa, e ad ogni passaggio generazionale corrispondeva una maggiore prosperità economica. Forza alimentatrice di tale ascensore sociale – la famosa “alta marea che fa galleggiare tutte le barche” di J.F. Kennedy – è l’aumento della produttività del fattore lavoro.
Tuttavia quello cui si è assistito negli ultimi trent’anni negli USA – fenomeno documentato da innumerevoli studi da Dew-Becker e Gordon (2005) a Krugman (2006) – è stato un aumento della produttività che non è andato traducendosi in un aumento dei redditi dei lavoratori americani.
Stando a quanto emerge da un lavoro di Levy Frank e Peter Temin del Massachusetts Institute of Technology (MIT), “Inequality and Institutions in 20th Century America”, se da una parte tra il 1980 ed il 2005 la produttività delle imprese è aumentata del 71 percento, dall’altra, nello stesso periodo di riferimento, la mediana dei guadagni settimanali dei lavoratori a tempo pieno è passata da $613 a $705 – un aumento di solo il 14 percento. E “giacché la crescita della produttività espande il reddito totale, la lenta crescita del reddito per il lavoratore medio implica un più rapido aumento del reddito altrove nella distribuzione”. In particolare nelle alte fasce di reddito, come confermato anche da Piketty e Saex (2003).