La vittoria alle presidenziali di Muhammadu Buhari nel marzo del 2015 aveva riacceso l’ottimismo in Nigeria. La più grande economia africana, e con essa gli investitori locali e stranieri, credevano che l’ex dittatore militare avrebbe gestito il paese in maniera più efficiente rispetto al suo predecessore. Un anno dopo gli umori sono cambiati.
Complice il continuo calo dei prezzi dell’oro nero (sceso sotto i 30 dollari al barile per la prima volta in dodici anni) le scorte nigeriane sono scese al minimo da tre anni a questa parte. Un brutto colpo per un paese, quello nigeriano, i cui introiti arrivano per la maggior parte dal commercio del petrolio. Inoltre, l’assenza di un piano strategico del governo per gestire questa situazione di emergenza ha fatto crollare il mercato azionario.

Timori accentuati dalla politica monetaria adottata dal presidente. Con il calare del prezzo del petrolio sono scese anche le riserve estere nigeriane. La Banca centrale ha imposto severe restrizioni e così la moneta locale, la naira, è crollata. Il tasso di cambio è sceso del 25 per cento nel corso di due anni ed ora il rapporto sul dollaro è di 199 a uno. Ma il valore più realistico è di 300 a uno. Una situazione che peggiora di giorno in giorno.
