Una ragazzina nord-irlandese di 14 anni sta scatenando un nuovo polverone sull’argomento dei controlli sulla privacy nei social networks. Infatti la teenager, che ci tiene a rimanere anonima, ha recentemente citato in giudizio Facebook a causa di alcune sue foto che la ritraggono nuda, le quali sarebbero state pubblicate ripetutamente sul social da conoscenti della vittima. Questo ovviamente senza il suo consenso.
Le accuse alla società di Zuckerberg sarebbero motivate dal fatto che la foto sarebbe dovuta essere stata riconosciuta ed eliminata proattivamente già al momento della seconda pubblicazione, dal momento che il sistema PhotoDNA adottato da Facebook dovrebbe servire proprio a questo.
Ma come funziona PhotoDNA? Charlotte Carnevale, leader del Safety Team di Facebook, spiega come all’inizio del 2015 questo strumento venne implementato per combattere attivamente la diffusione di materiale pedopornografico sui social. Creato da Microsoft e da Hany Farid, esperto del settore, PhotoDNA è uno strumento di controllo attivo 24 ore su 24, che si affida ad una intelligenza artificiale il cui compito è riconoscere e bloccare, al momento della pubblicazione, foto e video dal potenziale contenuto illecito. Appena una fattispecie del genere viene rilevata, l’account responsabile viene bloccato, un report è immediatamente inviato al team di Carnevale ed inoltrato agli organi di competenza che si occupano di protezione dei minori.
Per quanto questo strumento, a sentire la Carnevale, abbia dato un enorme aiuto a tutte le attività svolte dal Safety Team, esso non è infallibile. Essendo comunque ancora in una fase di sperimentazione, PhotoDNA potrebbe non riconoscere automaticamente ogni singolo materiale del genere, facendo così “passare” per accettabili foto dal contenuto non totalmente esplicito, ma comunque offensivo, che sarebbero in ogni caso incriminate alla prima segnalazione da parte di un utente.
Sembra proprio che sia questo il caso della ragazzina di Belfast, la quale ha dovuto personalmente segnalare la fotografia diverse volte permettendo così al materiale incriminato di rimanere visibile online per diverso tempo.
Gli esperti purtroppo sostengono che la causa iniziata dalla ragazza difficilmente sarà in grado di causare seri guai a Facebook. Il problema alla base è costituito proprio dal ginepraio legislativo grazie al quale i social network sono in grado di difendersi in caso di accuse del genere. Infatti, secondo le normative europee, le compagnie come Facebook, Twitter e Instagram non sono ritenute responsabili di danni morali verso gli utenti nel momento in cui prendono provvedimenti per tutelarli.
Effettivamente, non è vero che Facebook non stia tutelando il proprio utente, quindi, se il giudice deciderà che da parte del social network si sia “fatto abbastanza”, esso non sarà perseguibile per legge.
In ogni caso, questa situazione è destinata a scatenare nuove polemiche su temi già caldi al momento, come la tutela della privacy ed il controllo dei materiali postati sui social. Viene naturale pensare al recente caso del suicidio di una ragazza italiana, Tiziana Cantone, avvenuto in seguito alla pubblicazione non consenziente di un suo video hard amatoriale, il quale ha scatenato reazioni virali nel mondo del web risultate logoranti per la psiche della vittima.
Molte sono le controversie di cui si discute attorno a queste situazioni, che in molti casi si posizionano sul filo del rasoio tra la pubblica diffamazione e la libertà di espressione. Argomenti i cui confini sembrano essere sempre più labili.
Foto di copertina di Scott Eklund/Red Box Pictures