Siamo un popolo avverso al rischio. Non ci piace scommettere, correre il rischio che i nostri risparmi un giorno possano svanire nel nulla. Per tradizione, da generazioni, la nostra primaria aspirazione è riuscire ad acquistare una casa. Le origini di questa tendenza culturale vanno probabilmente ricercati nei secoli passati. Popolo costituito per lo più da agricoltori, professione da sempre soggetta alla variabilità e all’incertezza delle condizioni atmosferiche, siamo stati abituati a crearci delle certezze che ci dessero stabilità, non solo economica, ma anche emotiva.
Nel rapporto “Il risparmio e la ricchezza delle famiglie italiane durante la crisi”, realizzato per Banca d’Italia a cura di Laura Bartiloro e Cristiana Rampazzi, si mettono in evidenza alcune tendenze principali. Nel 2010, in rapporto al reddito disponibile, le famiglie italiane detenevano il 3,42% e il 5,51% rispettivamente in attività finanziarie e attività reali (al lordo della passività). La peculiarità del nostro Paese appare particolarmente evidente se confrontata con i dati disponibili per gli Stati Uniti: 4, 39 % e 2,08%. È da tenere in considerazione che tali dati subiscono l’influenza della crisi economica attuale, che ha portato a una riduzione del valore della attività finanziarie e ad una generale riduzione della propensione al risparmio.
Ma, per capirci, in cosa investono gli italiani? Date le premesse, un dato non sembrerà anomalo a chi legge: nel 2010 ben il 54% della ricchezza finanziaria non è stata investita, bensì depositata presso un conto bancario o postale. Ciò a testimonianza di come i correntisti, pur a fronte di un tasso di interesse molto basso, preferiscano non correre il rischio di perdere i loro risparmi. Seguiva nelle preferenze l’investimento in attività rischiose quali azioni e fondi comuni di investimento, il quale rappresentava nello stesso anno il 23% del totale, mentre solo l’11% veniva investito in titoli pubblici. Se però suddividiamo i dati per fasce d’età, lo studio mostra come, per quanto concerne famiglie e giovani, la percentuale di ricchezza finanziaria posseduta in depositi sia nettamente maggiore rispetto al campione totale delle famiglie, superando la quota dell’80%. Le ragioni di questo fenomeno sono ovviamente da ricercare nella precarietà del mercato del lavoro e nell’elevato grado di avversione al rischio che contraddistingue questa fascia di popolazione. La ricchezza finanziaria è inoltre molto concentrata: oltre il 47% è detenuta da chi appartiene al decile di reddito più elevato.