Nessun problema. Sembra essere questa la conclusione che si può trarre leggendo i dati economici del Dragone. Non tanto perché una sensibile decrescita limitata ai numeri, al netto di fattori contingenti e rilevanti su larga scala, non esista. Piuttosto perché è interessante scoprire come le attività produttive siano comunque in fermento e abbiano addirittura consentito alla Cina di aggiungere 3,5 milioni di nuovi posti di lavoro nel primo quarto dell’anno.
Da qualche tempo ormai, precisamente a partire dall’affacciarsi sulla scena internazionale della crisi economica nel 2008, il prodotto interno lordo cinese ha fatto registrare un lento declino che vede assestarsi il suo valore nel 2013 al 7,6%. Il dato è comunque positivo, a significare che l’economia è cresciuta, seppur a numeri leggermente inferiori a quelli dall’anno precedente. Del resto, semplici suggestioni e qualche titolo ad effetto non devono trarre in inganno: giusto pochi giorni fa abbiamo assistito al superamento a livello globale dell’economia cinese su quella statunitense, interrompendo una pole position che durava dal lontano 1872. A destare tanta curiosità e interesse è probabilmente una ragione storica incontrovertibile: dopo la morte del leader Mao Tze Dong, i cui apporti all’economia del paese furono piuttosto scarsi, l’avvento di Deng Xiaoping avviò la fase cosiddetta dell’ “economia socialista di mercato”, aprendo nuovi mercati a interi settori produttivi, creandone di nuovi, sviluppando e rafforzando le relazioni tra paesi. Da allora in avanti i dati macroeconomici e soprattutto il Pil registrarono un avanzamento impressionante, intorno al 10% in media negli ultimi 30 anni (Pil). Nulla di cui stupirsi se, in seguito a una prolungata inversione di tendenza, qualcuno drizza le orecchie.