Il piccione viaggiatore inviato da Giulio Cesare a Roma per avvisare della conquista della Gallia impiegò tre giorni. Oggi probabilmente Roma lo avrebbe saputo prima di Cesare. Avete mai riflettuto su come le mail hanno cambiato il nostro modo di comunicare? Un gesto semplice, veloce, a portata di mano, ormai irrinunciabile perfino sotto l’ombrellone, e che alimenta senza sosta un crocevia infinito di rapporti personali e lavorativi. Avete mai pensato a quante mail vengono spedite e ricevute in un giorno? Bene, nel tempo in cui vi siete posti questa domanda 20 milioni di e-mail saranno entrate in rete. Ogni giorno vengono inviate 247 miliardi di e-mail, corrispondenti a una ogni 0,00000035 secondi. Ogni secondo vengono prodotti messaggi per l’equivalente di 16.000 copie dell’opera omnia di Shakespeare.
E, se queste erano domande di cui avevate già immaginato la risposta, non è scontato sapere che anche internet inquina. Secondo uno studio dell’Agenzia francese per l’ambiente e il controllo energetico (Ademe), inviare 8 e-mail produce lo stesso inquinamento di 1 km in automobile.
Ma come può internet inquinare? Lo strumento che sempre più sta diventando parte integrante del nostro modo di vivere sembra apparentemente il più pulito di tutti. D’altronde il nostro ormai inseparabile smartphone è ben diverso da una caldaia a vapore.
Basti pensare dove sia fisicamente custodita questa immensa massa di corrispondenza virtuale. La rete non è collocata per aria sopra le nostre teste, ma ben piantata per terra, contenuta in enormi capannoni dentro i quali si celano lunghe distese di server. Questi data center servono a contenere i dati necessari all’uso di internet, indispensabili per fornire servizi come i social networks, motori di ricerca e affini. Il loro funzionamento esige ingenti quantità di energia elettrica, fornita, per lo più, da fonti non “pulite”. Dati forniti da associazioni ambientaliste mostrano come i maggiori fornitori di servizi in rete si servano in gran parte di combustibili fossili per il proprio fabbisogno. Inoltre, i server non solo bruciano energia che genera calore, ma in breve tempo diventano obsoleti e ciclicamente vanno sostituiti. Sono composti da materiali altamente inquinanti quali silicio, stagno, zinco e componenti plastici di varia natura. Lo smaltimento non è semplice e spesso avviene in Paesi con norme ambientali poco rassicuranti.
A questo punto punto, è lecito chiedersi se convenga continuare a usare un mezzo che inquina in modo non indifferente, e soprattutto destinato a farlo sempre di più. Ci si potrebbe arrendere qui. Oppure provare a ingegnarsi: come continuare a fruire degli stessi servizi in modo sostenibile? I “big” del settore (Apple, Google, Facebook, solo per citarne alcuni) stanno iniziando a porsi questo problema, alimentando il più possibile i propri data center con energie rinnovabili. Anche in Italia, imprese come Ecologie Digitali Srl forniscono servizi di “hosting sostenibile” grazie alla loro “webfarm”, ovvero un server a energia solare che permette a numerosi siti internet di esistere.
Ma se pensiamo a tutta la carta e i tragitti risparmiati grazie al web, non è già questo “vivere sostenibile”?
Photo credit: Matthew Clark Photography & Design / Foter / CC BY