Ormai da diversi mesi uno dei temi più dibattuti quando si parla di economia americana è il possibile “rate hike”: molti ne parlano con accezione positiva, tanti altri con tono molto più preoccupato. Lo scopo di questo articolo è analizzare le possibili conseguenze di un aumento dei tassi di interesse sui mercati finanziari americani e globali.
Per capire quali possano essere tali effetti, conviene prima ricordare quali siano state le manovre messe in atto della banca centrale americana, la FED, dalla crisi finanziaria scoppiata nel 2008 ad oggi.
La FED, dopo aver assistito ai danni economici che la crisi dei mutui sub-prime ha recato all’economia reale, si è trovata costretta ad effettuare un rapido taglio dei tassi di interesse portandoli fino al range 0% – 0,25%, contro un livello pre-crisi di 5,25%. Lo scopo era permettere una rapida ed efficace ripresa economico-finanziaria. In un secondo momento, non essendo stato il taglio dei tassi sufficiente a rilanciare l’economia domestica, è stata implementata la politica economica non convenzionale del “quantitative easing (QE)”. Con questa serie di manovre non ordinarie, la FED comprava titoli di debito sul mercato secondario con lo scopo di iniettare liquidità all’interno del sistema economico. La manovra è stata suddivisa in tre fasi di acquisto e, per capirne la portata complessiva, basta osservare il dato riguardante il bilancio della banca centrale statunitense. Quest’ultimo registrava attività per USD 700 miliardi prima della politica di QE, mentre aveva aumentato le stesse fino a USD 4300 miliardi post QE: il tutto nel giro di pochi anni! Alla fine del 2014, in seguito a dati sul labour market e sulla produttività industriale considerati sufficientemente positivi, la FED pose fine al QE e diede il via alla terza manovra monetaria: il “tapering”. Con questa manovra restrittiva la banca centrale ha ridotto gli acquisti mensili di titoli, fino a portarli gradualmente a zero.
Ciò detto, sembra proprio arrivato il momento della tanto attesa normalizzazione dei tassi di interesse, o meglio dell’inizio di un lungo cammino verso la normalizzazione. La Fed ha monitorato attentamente numerosi indicatori riguardanti il mercato del lavoro americano, così come la crescita economia del paese, e sembra avere esaurito le scuse per rimandare ulteriormente il primo rialzo dei tassi di interesse dal 2006. I mercati sembrano ormai convinti di questa mossa: i Fed Fund Futures prezzano ad oggi una probabilità del 75% di un aumento dei tassi di interesse a Dicembre. Ciò nonostante, rimane l’incertezza per quanto concerne il percorso che i tassi di interesse americani seguiranno nel 2016. Infatti, mentre in passato ci sono stati in media tra i 7 e i 9 aumenti dei tassi per anno durante i periodi di restrizione della politica monetaria americana, Janet Yellen, governatore della FED, ha dichiarato che il rialzo sarà molto graduale per evitare squilibri sull’economia locale ed estera. Gli analisti stimano un massimo di 3-4 rialzi per il 2016. Un piccolo numero di rialzi all’anno rende forse prematura la parola “normalizzazione”, ma in ogni caso questo potrebbe essere un primo deciso passo verso il ritorno alla normalità in termini di tassi di interesse negli Stati Uniti. Infatti, in mercati così tanto globalizzati e correlati tra loro, non bisogna dimenticare che gli Stati Uniti saranno molto probabilmente l’unico aggregato monetario ad intraprendere un tale percorso di rialzo dei tassi il prossimo anno e questo li costringe a seguire un percorso graduale di rate hiking. Se si pensava che il Regno Unito potesse seguire strettamente le scelte della Fed, gli ultimi dati e le recenti dichiarazioni hanno mosso dei dubbi sulle prossime mosse della banca centrale inglese. Nessun dubbio per quanto concerne BCE e BoJ: Unione Europea e Giappone, al contrario, sembrano dover incrementare le iniezioni di liquidità per la ripresa delle rispettive economie.